«Ho votato no al processo perché Salvini non è un sequestratore»
Ansa/Giuseppe Lami
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«Ho votato no al processo perché Salvini non è un sequestratore»
Politica

«Ho votato no al processo perché Salvini non è un sequestratore»

«L'indagine a danno di Matteo Salvini è uno scandalo. Va bene la tattica, va bene la campagna elettorale, ma c'è un principio che va difeso: un ministro che fa il suo lavoro non si può processare se non si condivide il programma votato dagli italiani». L'analisi politica di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, è sempre lucida e tagliente. «Io sono Giorgia»: cogito ergo sum, direbbe Cartesio.

Perché Fdi ha votato no al processo a Salvini?

«Perché è la fine della democrazia. Mentre un ministro che ha impedito l'immigrazione illegale viene processato, non sono mai stati nemmeno indagati i ministri che nei precedenti governi facevano apertamente favoreggiamento del reato di immigrazione clandestina. Ancora più scandalosi il Movimento 5 Stelle e il premier Giuseppe Conte. Se non erano d'accordo con l'attività del ministro dell'Interno, sarebbero dovuti andare da Sergio Mattarella per chiedere il ritiro delle deleghe. Se invece Salvini era un sequestratore, devo segnalare a Conte e Luigi Di Maio che, pur di rimanere seduti sulle poltrone, erano al governo con un sequestratore. Delle due l'una: o hanno ragione oggi e sono stati al governo con un sequestratore o avevano ragione ieri e stanno usando la giunta per le autorizzazioni a procedere per sanare conti politici».

Come si è mosso il governo italiano alla conferenza di Berlino sulla Libia?

«Già il fatto che la conferenza sulla Libia si sia tenuta a Berlino e non a Roma, come sarebbe stato naturale, segna la sconfitta della politica estera del governo. L'Italia ne esce ulteriormente indebolita. Lo rappresenta in modo desolante la fotografia di gruppo dei capi di governo a fine conferenza, in cui il premier italiano è stato rilegato in un cantuccio poco visibile. Intanto Haftar blocca i terminal di export di petrolio collegati ai pozzi Eni. È il prezzo di un governo debole e senza visione politica, neppure a livello internazionale».


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