L’ultima conquista è la cinese Chery, che ha deciso di realizzare le sue auto in Catalogna. Ma sono tanti i gruppi automotive che hanno scelto il Paese iberico per aprire i loro impianti. E in Italia ci dovremmo chiedere come ha fatto Madrid a surclassarci, diventando rapidamente il secondo produttore di vetture in Europa.
Dovendo scegliere tra Italia e Spagna, Chery non ci ha messo molto a prendere una decisione: la casa cinese produrrà le sue automobili in terra iberica grazie a una joint venture con la società locale Ev Motors. Sfrutterà un impianto dismesso della Nissan a Barcellona, dove conta di sfornare a regime 150 mila vetture all’anno. La Catalogna ha iniziato a corteggiare il gruppo cinese nel 2022 e ora porta a casa un importante successo: la Spagna è il secondo Paese europeo scelto dai cinesi come base produttiva dopo l’Ungheria, dove sta sbarcando Byd. Chery si aggiunge così al folto gruppo di case automobilistiche che hanno stabilimenti nel Paese iberico: Stellantis, Renault, Ford, Volkswagen. E che ne fanno il secondo più grande produttore di veicoli d’Europa dopo la Germania: 2,4 milioni di mezzi all’anno contro 4,1 milioni. Mentre l’Italia, famosa in tutto il mondo per i suoi brand Alfa Romeo, Fiat, Ferrari, Lamborghini, cerca disperatamente di aumentare i suoi volumi attirando nuovi investimenti, Madrid è diventata un gigante del settore. Da noi, nel 2023, il gruppo Stellantis, unica grande casa presente nella penisola, ha realizzato 880 mila veicoli, di cui 541 mila auto. In Spagna la stessa società italo-francese potrebbe aver superato nello stesso anno un milione di pezzi. Se la Spagna è così attrattiva per le case automobilistiche lo si deve anche a una politica industriale di lungo termine che ha favorito lo sviluppo del settore. In più gli impianti iberici vantano una notevole produttività. Secondo i dati di Acea, l’organizzazione europea del settore, la Spagna è al primo posto in Europa per numero di veicoli prodotti da ogni lavoratore: 13,4 contro una media europea di 5,1 (l’Italia è a quota 4,5).
Non inclusa nel G7 e con un Pil inferiore a quello italiano (1.418 miliardi nel 2022 contro 2.050), la Spagna non compare spesso sui nostri giornali. Ci vuole una crisi politica come quella che ha colpito nella scorsa settimana il premier socialista Pedro Sánchez per attirare i riflettori dei media. Ma la Spagna meriterebbe molta più attenzione. Dovremmo chiederci com’è possibile che ci abbia surclassato nella produzione di auto. E come mai la sua economia corra molto più velocemente della nostra: lo scorso anno il Pil spagnolo è cresciuto del 2,5 per cento, quello italiano dello 0,9, mentre per il 2024 il Fondo monetario prevede un aumento per Madrid dell’1,9 per cento, oltre il doppio della media dell’area euro. L’economia spagnola è più dinamica della nostra e non da ieri: secondo il Fmi dall’inizio del millennio al 2024 il Pil italiano è cresciuto al netto dell’inflazione del 6,6 per cento, quello spagnolo del 41,9. Non solo: il rapporto deficit-Pil di Madrid, intorno al 3,1 per cento, si avvicinerà nel 2024 ai parametri europei e il debito si attesterà al 106 per cento. Numeri migliori di quelli italiani. E anche se la disoccupazione resta troppo alta, pari al 12,1 per cento, nel 2023 il Paese iberico ha registrato un boom di assunzioni con la creazione di 783 mila nuovi posti di lavoro mentre il numero totale dei disoccupati è sceso per la prima volta da oltre dieci anni sotto la soglia dei tre milioni. Anche questo aiuta i consumi, principale motore dell’economia spagnola: il mercato del lavoro crea occupazione e sostiene i redditi dei nuclei familiari.
A parte la catena low cost Zara, la Spagna è priva di marchi noti al grande pubblico italiano. Ma in realtà in alcuni settori il Paese è un colosso. Tanto è vero che l’Italia è il terzo cliente dell’economia spagnola e il quarto fornitore. Nell’agroalimentare è la quarta potenza europea e la decima nel mondo. È il primo allevatore europeo di suini, il primo produttore di frutta fresca, di olio, di agrumi. Nell’energia vanta grandi gruppi come Iberdrola ed Endesa che hanno investito massicciamente nelle rinnovabili. La sua principale banca, il Santander, è la terza più importante del continente. Nel turismo è la terza destinazione del mondo dopo Francia e Stati Uniti. Ma soprattutto Madrid sembra avere un approccio con l’economia più concreto rispetto all’Italia. Ainoa Aparicio Fenoll, economista spagnola che insegna in Italia presso il dipartimento Esomas dell’Università di Torino e il Collegio Carlo Alberto, cita il caso del Pnrr: «A un certo punto, i giornalisti hanno criticato il governo spagnolo perché aveva prelevato solo il 30 per cento dei fondi Next Generation mentre l’Italia aveva prelevato più del 70 per cento. A me questo sembra un segno di responsabilità perché è inutile chiedere una pioggia di soldi se non ci sono gli strumenti per gestirli con efficacia in poco tempo così. In Italia siamo circondati di esempi di utilizzo irresponsabile di questi soldi».
Un altro caso interessante è quello del famigerato Mes, lo strumento creato per aiutare i Paesi dell’area euro a evitare crisi finanziarie e che l’Italia vede come il fumo negli occhi. Tra il 2008 e il 2009 il sistema bancario spagnolo fu travolto dallo scoppio della bolla immobiliare e nel 2012 Madrid decise di ricorrere al Mes per ricapitalizzare le sue banche: ottenne 41,3 miliardi e il processo di ristrutturazione del settore si concluse con successo nel 2014, con la restituzione delle prime rate del prestito. A favorire l’economia spagnola concorrono molti fattori. Un recente rapporto della Fondazione Bbva (Banco Bilbao Vizcaya Argentaria) segnala cinque motivi per i quali la Spagna cresce più della media europea: il minor costo dell’energia, il turismo, l’aumento dei servizi non-turistici, la politica fiscale espansiva e l’immigrazione. «Riguardo all’energia» spiega Ainoa Aparicio Fenoll «anche se la Spagna è stata colpita del crollo dell’offerta di gas, ci sono state diverse misure per ridurre i prezzi: la tassa sugli extraprofitti delle società energetiche, la riduzione dell’Iva sull’energia, l’utilizzo dei fondi Pnrr per promuovere fonti alternative».
A stimolare i consumi interni non sarebbero stati, «l’aumento del salario minimo e il rialzo delle pensioni». Riguardo poi la politica fiscale espansiva, «si calcola che l’aumento della spesa pubblica grazie anche ai fondi Pnrr abbia aggiunto quasi due punti al prodotto interno lordo dal 2021. Il governo ha deciso di prorogare le misure straordinarie anticrisi anche al 2024». Resta però la croce della disoccupazione, il grande problema strutturale dell’economia spagnola. «Il mercato del lavoro è duale: con occupati a tempo indeterminato di serie A e quelli precari di serie B. L’ultima riforma è del 2022 e tante altre prima di questa hanno tentato di ridurre il precariato e gli economisti chiedono da tempo d’introdurre un contratto unico con indennità di licenziamento calcolate in base ai giorni lavorati in maniera continua». Intanto l’economia spagnola corre e l’Italia sente il suo fiato sul collo. Come Pecco Bagnaia nel MotoGP, resiste agli attacchi di Marc Márquez. Almeno per ora.