William Happer: «Per un clima buono ci vuole più CO2»
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Inchieste

William Happer: «Per un clima buono ci vuole più CO2»

Il noto esperto americano di energia, scettico sul riscaldamento del pianeta, ha lanciato un duro attacco alle politiche green. Sono basate, afferma, su una falsa emergenza, a partire dall’eccesso di anidride carbonica. Anzi, per raffreddare la Terra, dice a Panorama, ne servirebbe molta di più.

Americano. Fisico. Professore emerito a Princeton. Direttore del dipartimento dell’Energia per George Bush padre, consigliere per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione Trump (è durato un annetto, poi si è dimesso). William Happer è quello che potremmo definire un «professorone». E non è certo uno che, per il bene della carriera, si allinea all’ortodossia. Qualche mese fa, insieme al collega del Massachussetts institute of technology, Richard Lindzen, docente emerito di Scienza dell’atmosfera, si è scagliato contro le politiche green: «Si fondano su una bufala» hanno scritto i due luminari nella loro lettera aperta al governo federale. La bufala sarebbe la crisi climatica. «Non esiste niente del genere» ha ribadito Happer anche a Panorama.

Nessuna emergenza, allora?

Be’, un’emergenza potrebbe esserci.

Ovvero?

Se seguiamo le politiche folli che vengono proposte per affrontare questa falsa crisi climatica.

Chi la contesta sostiene che l’aumento delle temperature dipenda dall’attività solare. Altri scienziati replicano: fosse per la nostra stella, in questo momento il pianeta dovrebbe raffreddarsi. Come stanno le cose, secondo lei?

La narrativa dominante è che siano i gas serra a controllare la temperatura della Terra. Ma non c’è alcuna autentica base scientifica per affermarlo. A ben vedere, è il contrario.

Il contrario?

Nessuno di questi gas influisce granché sul clima.

Ma come?

Il pianeta si sta riscaldando, sì. Non molto velocemente: più o meno allo stesso ritmo rilevato spesso in passato attraverso i «proxies» (fenomeni fisici, chimici o biologici sensibili all’evoluzione del clima, ndr). E all’incirca alla stessa velocità dell’inizio del Novecento, quando la CO2non aumentava quanto è crescuta negli ultimi cinquant’anni. La narrativa dominante non ha molto senso: è una crociata, conveniente per tante persone che ci stanno guadagnano parecchio, e si sentono virtuose.

I gas serra non hanno impatto sul clima?

Hanno un impatto limitato.

Di che genere?

Raddoppiando la concentrazione di CO2nell’atmosfera - cosa che richiederebbe tempi lunghi - l’aumento della temperatura sarebbe di un quarto dell’1 per cento. Nella scala Celsius, parliamo di 0,75 gradi.

C’è un consenso scientifico sull’origine antropica del riscaldamento globale.

C’è un consenso, ma non lo definirei scientifico. E poi la scienza non si determina in base al consenso. È nel vostro Paese che si svolse il processo a Galileo Galilei.

Quindi?

All’epoca, il cosiddetto consenso era molto chiaro: al centro dell’universo c’è la Terra e il Sole le ruota intorno. Ebbene: il consenso era sbagliato. Così come è sbagliato oggi, a proposito del clima. E in nessuno dei due casi il consenso godeva del supporto di scienziati davvero bravi. Era truccato.

È vero che, per farsi pubblicare dalle principali riviste, i climatologi devono enfatizzare il contributo antropico al riscaldamento globale, a detrimento di altri fattori?

Sì. Funzionava così anche agli albori dell’Unione sovietica. Pubblicavi un libro sulla meccanica quantistica e l’introduzione doveva sempre prevedere un paragrafo in cui l’autore spiegasse in che modo era stato guidato dalla dialettica marxista nella risoluzione delle equazioni.

Chi solleva dubbi sull’emergenza climatica viene chiamato «negazionista». È questo un modo scientifico di trattare il dissenso?

Il problema è che la scienza su cui si fonda l’ortodossia climatica è debole. Chi la sostiene non riuscirebbe a difenderla in un dibattito aperto con scienziati competenti. Perciò costoro si vedono costretti a ricorrere a certe definizioni, ad argomenti ad hominem, a infangare l’avversario. Anche questo succedeva nei primi anni dell’Urss: se eri intellettualmente onesto, ti davano del «capitalista», del «borghese». Lo stesso accade oggi, con il contributo dei media.

Al premio Nobel John Clauser, che è un fisico come lei, è stato negato di tenere una conferenza al Fondo monetario, perché avrebbe sostenuto che non esiste alcuna emergenza climatica. Giorgio Parisi, a parità di qualifica, parla ovunque. L’autorità che deriva dall’aver ricevuto un Nobel dipende dalle idee che professa uno scienziato?

Questa è una vera disgrazia. John Clauser è un ottimo fisico e, correttamente, ha sottolineato che il principale fattore che influenza il clima sono le nuvole. Poco fa le ho detto che, per aumentare di 0,75 gradi la temperatura, bisognerebbe aumentare del 100 per cento la concentrazione di CO2. Ebbene, un incremento dell’1 per cento della copertura nuvolosa bassa aumenta dell’1 per cento il raffreddamento radiativo. Le nuvole sono molto più rilevanti dei gas serra.

Tanti giovani sembrano convinti che moriranno entro pochi anni, a causa della catastrofe climatica.

Questo è uno degli effetti più vergognosi del culto climatico: ha terrorizzato i nostri figli. Loro si fidano di adulti che mentono. Costoro sono dei criminali. Ma non è niente di nuovo. Nel Medioevo, gente senza scrupoli arruolò dei ragazzini per la «Crociata dei bambini»: nessuno di quei ragazzi tornò a casa.

Parlava di interessi economici dietro la transizione green.

Molti stanno facendo profitti, anche perché i governi sborsano parecchi soldi. Per esempio, negli Stati Uniti, ci sono sussidi per chi compra le auto elettriche e persino per le quote di energia che servono a ricaricarle. Le Tesla sono ottime macchine, ma costano molto e, senza i benefit, persino i facoltosi ci penserebbero due volte a comprarle. È come un Robin Hood al contrario: prende ai poveri per dare ai ricchi.

Non è così sicuro che le persone siano pronte a cambiare stile di vita, a consumare carne di laboratorio, o a smettere di prendere l’aereo. La transizione ecologica imposta dall’alto è compatibile con la democrazia?

Credo che un problema che avete in Europa e, in una certa misura, abbiamo anche qui negli Stati Uniti, sia la centralizzazione del potere. Chi governa perde contatto con la realtà e diventa facile preda di illusioni di massa, come quella climatica. Penso sarebbe meglio arrivare a una frammentazione del potere. Per esempio, da noi si potrebbe lasciare che la California faccia quello che vuole e poi vedere cosa succede. Ecco: lasciate che la Germania o altri Paesi facciano ciò che vogliono e guardate come va a finire...

Nella sua ultima esortazione apostolica, Laudate Deum, papa Francesco scrive che la tecnologia non può risolvere tutti i problemi ambientali. Però il progresso tecnologico contribuisce a rendere più sostenibile la crescita, no?

Guardi, il fatto è che io non credo che le emissioni di CO2 siano un problema ambientale. Anzi, l’anidride carbonica reca beneficio al pianeta: è uno dei principali fattori nella crescita delle piante. Nelle immagini dal satellite, si accorgerà che la Terra sta diventando più verde. La CO2 è importante nei processi di fotosintesi e nell’agricoltura: è una follia considerarla inquinante.

Lei è a favore del nucleare?

Funziona alla grande per produrre elettricità. Pensate ai vostri vicini francesi: ci hanno fatto affidamento per più di una generazione, senza avere mai problemi. E il funzionamento di una centrale non dipende dagli agenti atmosferici - se il vento soffia, se il sole splende... Ogni paio di anni la fermi per manutenzione, ma è tutto pianificabile. Certo, un motore a propulsione nucleare per le automobili non sarebbe pratico... (Risata). Per quello, la soluzione migliore restano i combustibili fossili. Sì, prima o poi si esauriranno, ma accadrà tra molto tempo. E, per allora, avremo a disposizione buoni carburanti sintetici.

Possiamo essere ottimisti sul futuro del pianeta?

Il futuro sarà ottimo. Il pianeta non era verde come nel 2023 da almeno sette milioni di anni. Se è per questo, ci servirebbero più emissioni di CO2.

Professore, lei sarebbe etichettabile come «negazionista».

Non me ne preoccupo.

Ha noie all’università?

A Princeton non ho mai avuto problemi. Sono circondato da persone che non sono d’accordo con me, ma in modo cordiale.

Nessun guaio?

Ogni tanto ricevo telefonate e messaggi: mi minacciano di morte.

Ha detto niente!

Sì, ma non li prendo troppo sul serio. Sto solo un po’ attento quando apro i pacchi!

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Alessandro Rico

(L'Aquila, 1991) Laureato in Filosofia alla Sapienza, PhD in Teoria Politica alla LUISS. Nel 2017 ha pubblicato con Historica il saggio "La fine della politica? Tecnocrazia, populismo, multiculturalismo". Cattolico, conservatore, nemico del politicamente corretto.

twitter @RicoAlessandro

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