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(Ansa)
Tecnologia

Gas refrigeranti, la fisica sconosciuta a Bruxelles

Il Regolamento F-Gas vuole ridurre le emissioni di gas fluorurati che contribuiscono all’effetto serra. Ma ancora una volta, il punto non è se passare ai cosiddetti “refrigeranti naturali”, ma come al solito di correre troppo nell’imporli

Nel farsi del male con regole insensate l’Unione Europea è ormai campione mondiale. A Bruxelles dicono di agire per il bene dell’ambiente, che sfortunatamente non sempre coincide con il bene dei cittadini e delle loro tasche. Unica consolazione le elezioni del 2024 che potrebbero cambiare gli equilibri e porre nuove tempistiche su provvedimenti che si posizionano tra l’utopia e il disastro industriale. Certamente la messa al bando dei gas refrigeranti è uno di questi euro-dogmi, e potrebbe di fatto impedire l’installazione di impianti di climatizzazione nella maggioranza delle case italiane.

Il Regolamento F-Gas vuole ridurre le emissioni di gas fluorurati che contribuiscono all’effetto serra. Ma ancora una volta, il punto non è se passare ai cosiddetti “refrigeranti naturali”, ma come al solito di correre troppo nell’imporli, quando sarebbe opportuno poter utilizzare anche ogni altro tipo di refrigerante disponibile scegliendo in base alle dimensioni e alle caratteristiche del proprio impianto. Nel senso che, è evidente, quello di un centro commerciale o di un teatro sono molto diversi dal sistema di un appartamento. Ma questo Parlamento e soprattutto questa Commissione europea, ben sapendo che dopo il pasticcio dell’automotive non ha certo molte speranze per essere rieletta, mostra una fretta incredibile nell’imporre i suoi ritmi.

Vero è che usando i refrigeranti naturali l’industria del clima Ue potrebbe essere più indipendente da quella asiatica, ma è anche vero che tra i costruttori le collaborazioni sono ormai tanto diffuse che un solo produttore fa realizzare l’elettronica in una nazione e la meccanica in un’altra, Cina in primis. E che è impossibile garantire che tutte le parti di un climatizzatore siano europee. Un altro problema è lo stop alla vendita di caldaie a condensazione dal 2029, secondo quanto previsto dal regolamento Ue 813/2013 (il cosiddetto Ecodesign), in approvazione entro il prossimo anno. Qui nel delirio di eliminare qualsiasi combustione che emetta anidride carbonica si vogliono vietare le caldaie del tipo che fino a qualche tempo fa venivano addirittura incentivate con sgravi fiscali. In pratica le caldaie a condensazione, a livello di diffusione, passerebbero dall’essere raccomandate a essere illegali nell’arco di 15 anni. Follia, soprattutto pensando che ci sono città nelle quali gli uffici pubblici hanno impianti di riscaldamento ancora più vecchi. E che tutto, come al solito, farebbe pensare che per questi possa esserci una deroga mentre per i privati cittadini – che la Ue la mantengono – non ci sia altra possibilità che svenarsi.

Secondo certi geni sono migliori le pompe di calore elettriche. Ma ancora una volta, non è dato sapere dove prenderemo tutta questa energia, o se dovremo scegliere se caricare la batteria dell’auto o fare la doccia calda, o in alternativa andare in bancarotta. Il regolamento Ecodesign definisce le regole per la progettazione e la commercializzazione di sistemi per il riscaldamento ambientale con potenza termica fino a 400 kW, ma a parte aver scritto parametri che la fisica fa fatica a considerare credibili, c’è di fondo sempre lo stesso errore: la Ue prevede regole applicabili dalla Lapponia a Pantelleria, senza considerare la differenza che passa tra uno chalet e un dammuso, ed anche, nel caso dell’opportunità di installare il cappotto termico, tra una casa in mattoni e una ex fabbrica convertita in alloggi. Imporre sulle nuove costruzioni un sistema “ibrido”, ovvero una caldaia a condensazione soltanto se accoppiata a pompe di calore elettriche, non è semplice come scriverlo. Il passaggio di condutture come l’installazione di radiatori, di sistemi di controllo (quando non di domotica dipendente dalla connessione web e dall’impianto elettrico di casa), comportano lavori importanti negli appartamenti e comunque implicano sempre più dipendenza dall’elettricità.

Nella eco-follia europeista troviamo veri strafalcioni contrari alle leggi della fisica, come la “soglia minima di efficienza al 115%”, valore che nessuna macchina termica potrà mai raggiungere, altrimenti avremmo risolto gran parte dei problemi energetici dell’umanità. L’inganno (termodinamico) c’è: dire che l’efficienza è 110-115% significa considerare che l'energia prelevata dall'ambiente esterno sia gratuita e che quella elettrica necessaria sia prodotta con un rendimento di almeno il 35-40%. E se la prima è un’affermazione vera, la seconda no. i sistemi più economici, spesso costruiti in Asia, difficilmente raggiungono temperature di mandata (l’acqua che circola nei tubi) che sia oltre 48-50 °C anche se viene dichiarato un valore più alto. E quando la temperatura esterna è bassa (+/-5 °C) il consumo elettrico sale in modo considerevole, mentre l’unità esterna soffre di problemi dovuti alla possibile formazione di ghiaccio.

Il problema si risolve in parte se la progettazione e la costruzione delle pompe di calore è originaria di nazioni che le fabbricano da 70 anni e che vantano 65 °C di temperatura di mandata anche se fuori c’è -25 °C, ma anche in questo caso tutta l’energia che manca si assorbe dall’impianto elettrico. In genere sono prodotte da fabbriche mitteleuropee. Mentre le caldaie a condensazione che superano il “100% di rendimento”, usando questo argomento a scopo commerciale, fanno riferimento alla quantità di energia che producono in rapporto a quella usata per funzionare, sfruttando il calore dei fumi emessi. Ma sempre anidride carbonica producono. E soprattutto, chi ha una di queste caldaie sa perfettamente che la temperatura prodotta è inferiore a quella delle caldaie di generazione precedente (circa 60°C) e quindi se i termosifoni (radiatori) di casa non sono moderni oppure l’impianto non viene isolato al meglio – sta sotto il pavimento - l’effetto finale sarà che in casa si avrà freddo o, se si vuole mantenere la temperatura che veniva garantita dalla vecchia caldaia, occorrerà tenerla accesa più tempo. E addio risparmio. Come vuole la Ue, quindi secondo loro, evidentemente l’obiettivo è centrato. Per non essere considerati euroscettici facciamo una proposta: che in Europa, garantito un livello minimo comune di emissioni, ognuno scelga ciò che è meglio per la sua altitudine e tipologia di casa. Troppo facile?

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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