Tutti i dubbi su «Immuni» la app contro il coronavirus
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Tecnologia

Tutti i dubbi su «Immuni» la app contro il coronavirus

Privacy, gestione dei dati personali, modalità e numero complessivo di download ed utilizzo. Ecco le perplessità attorno alla app creata da Bending Spoons

Sarà Immuni della società milanese Bending Spoons, la app scelta dal Governo e dal Commissario per l'emergenza Coronavirus, Arcuri, che evidentemente è quella che risponde meglio agli stringenti paletti imposti dalla gara: rispetto delle vigenti norme sulla privacy, sicurezza dei dati e ovviamente l'efficacia nel tracciamento degli individui.

L'efficacia però è tutta ancora da dimostrare, sono infatti molte le incognite. In primo luogo per dare riscontri utili l'App dovrà essere scaricata almeno dal 60% della popolazione italiana, un'adozione davvero di massa. In altre nazioni che hanno suggerito il download dell'applicazione senza imporla come Singapore, solo il 20% dei cittadini ha risposto all'appello.

Inoltre Immuni che dovrebbe proteggere soprattutto le categorie più fragili dovrà essere potenzialmente scaricata proprio dagli anziani, non solo poco avvezzi alla tecnologia ma molti dei quali anche completamente sprovvisti di uno smartphone.

Ci sono poi dei dubbi tecnici e legati allo spinoso tema del trattamento dei dati personali.

Non è affatto chiaro come e se sarà disponibile il codice sorgente usato per la sua realizzazione, di conseguenza a chi saranno visibili i dati della gente quando si comincerà a usarla. In sintesi, l'applicazione ha il software libero (in gergo free as in freedom), o è soltanto gratuita fintanto che c'è l'ordinanza in vigore? Non è un cavillo, perché lega a questa differenza la responsabilità della gestione dei dati personali di chi la userà. Dunque ci chiediamo se il codice sorgente sia disponibile oppure no, e se lo fosse, a quali condizioni, e perché si scrive nella premessa che il commissario sta acquisendo i diritti d'autore quando invece è una mera licenza d'uso senza dire di che tipo sia.

C'è anche un tema legato alle tempistiche. Per essere un asset utile nella fase 2 dovremmo averla scaricata tutti prima del 4 maggio, data in cui si ipotizza la fine del lockdown. Il problema è che al momento Immuni deve ancora passare il vaglio di Colao e della task force legata alla ripartenza, deve essere ancora formalizzato il contratto tra il Ministero dell'Innovazione e Blending Spoons, quindi bisognerà avviare la sperimentazione e la successiva verifica dei risultati. Rischia di essere già vecchia prima di partire.

L'obiettivo di questa applicazione di contact tracing è infatti quello di aiutare a identificare individui potenzialmente infetti prima che emergano sintomi e, se condotto in modo sufficientemente rapido, può impedire la trasmissione dai casi secondari. La velocità di reazione è essenziale, ma per rispettare i sacrosanti elementi di privacy il rischio è quello di tardare troppo.

L'applicazione messa a punto in collaborazione con il Centro Diagnostico Santagostino utilizzerà il Bluetooth per valutare con sufficiente precisione (circa un metro) i possibili contatti degli individui con persone identificate positive al Covid-19. Lo smartphone registra le informazioni delle persone con cui siamo venuti in contatto, usando un codice univoco anonimo e temporaneo, permettendo così di ricostruire le nostre interazioni ma solo se necessario. Sarà infatti richiesta l'autorizzazione all'utilizzo di queste informazioni all'utente solo se si risultasse positivi al virus.

Non è chiaro però se l'utente scoperto positivo abbia poi l'obbligo di dichiararlo attraverso l'applicazione. Se questo passaggio fondamentale non avviene in modo automatico e forzato ma si affida all'etica del singolo cittadino lo sforzo collettivo potrebbe risultare vano.

Altro elemento critico per l'efficacia dell'applicazione riguarda la capacità di fare tamponi, punto che esula dal funzionamento di Immuni. Senza tamponi o test sierologici nessuno sa se è positivo o meno, oltre al fatto che il 70/80% dei contagiati è sostanzialmente asintomatico. Quindi senza screening sistematici e massicci non è possibile identificare i positivi per tracciare le persone prima che contagino centinaia di altri cittadini, soprattutto quando si tornerà a circolare liberamente specie sui mezzi pubblici.

Immuni prevede anche una sorta di diario clinico dell'utente che dovrebbe mantenere aggiornato indicando l'eventuale insorgenza di sintomi inerenti al coronavirus, insieme a una scheda anagrafica con le informazioni standard come sesso, età, malattie croniche e assunzione di farmaci. Ma se l'applicazione assicura l'anonimato e un utente riferisce di avere sintomi potenzialmente ascrivibili all'infezione virale, chi si prenderà la briga di verificare prontamente che non si tratti del Covid-19?

L'ultimo dubbio circa l'efficacia dell'applicazione riguarda il fatto che, come abbiamo detto, Immuni utilizza il Bluetooth e dunque non fornisce dati riguardo la geolocalizzazione degli utenti, sistema adottato invece in Corea del Sud, Cina, Israele e altri paesi. Questo significa che possiamo sapere con chi un individuo è stato in contatto ma non dove è stato.

Sappiamo però che tra i mezzi di trasmissione ci sono le superfici contaminate, quindi se un operaio fa dei lavori in una scuola fuori dagli orari delle lezioni contaminando banchi e sedie, ma senza incontrare nessuno, il giorno dopo bambini e personale scolastico potrebbero infettarsi e nessuno lo saprebbe fino a quando qualcuno non sviluppa i sintomi e gli viene fatto il test.

Analogamente, un positivo che vuole violare la quarantena ed esce fuori dalla sua residenza come potrebbe essere prontamente identificato se non posso conoscere in tempo reale i suoi spostamenti? Insomma i dubbi sono molti e la colpa non è legata della società Bending Spoons che con spirito solidale ha dichiarato che l'App sarà totalmente gratuita non solo per gli utenti. L'azienda ricorda anche che la Presidenza del Consiglio dei Ministri è il licenziatario dell'uso del prodotto e che il progetto sarà finanziando autonomamente senza ricevere alcun corrispettivo per il suo impegno.

Lo slancio filantropico della società fondata nel 2013 da Luca Ferrari, Francesco Patarello, Matteo Danieli, Luca Querella e Tomaz Greber potrebbe essere vanificato dai troppi paletti imposti dalla legge e dalla mancanza di un pronto ed efficace controllo sanitario. La fase 2 sembra già molto in salita.

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Mark Perna

Globtrotter e tech addicted

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