Ritratto di LeBron James, 'il prescelto' che porta l'anello
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Ritratto di LeBron James, 'il prescelto' che porta l'anello

Finalmente è arrivata la consacrazione di The King. Ecco la parabola (tutta in divenire) dell'asso dei Miami Heat

Nella favola del basket NBA il re stavolta non è nudo, anzi. Alla sua nona stagione e terza finale nel campionato più famoso del pianeta, quando ormai diversi critici erano pronti ad affibbiargli i panni del non-vincente (che nello spietato mondo dello sport-business equivale a perdente), LeBron James - alias appunto "The King" - può finalmente presentarsi davanti alle telecamere esibendo la T-shirt con l'inequivocabile scritta "World Champions 2012". E pregustare la futura incoronazione del prossimo autunno (ovvero all'inizio della stagione NBA 2012-2013), quando come da tradizione si svolgerà la cerimonia della consegna dell'anello ai Miami Heat, aggiudicatisi il titolo NBA con un perentorio 4-1 nelle Finals contro gli Oklahoma City Thunder. Vittoria sulla quale "The King" ha posto il suo personalissimo sigillo nell'ultimo incontro con una "tripla doppia" da 26 punti, 11 rimbalzi e 13 assist, suo nuovo record assoluto in una partita dei playoff.

A 27 anni (è nato il 30 dicembre 1984), "The Choosen One" - ovvero "Il prescelto", altro suo soprannome derivato dalla copertina che l'autorevole Sports Illustrated gli dedicò nel febbraio 2002 - ha visto così materializzarsi il glorioso destino profettizatogli da tutti sin da quando, appena quindicenne, portò al titolo la squadra della sua scuola superiore, la St. Vincent - St. Mary High School di Akron, cittadina dell'Ohio in cui LeBron James è stato cresciuto dalla sola madre Gloria. Un'infanzia dura, come spesso accade alle star del basket americano, trasformatasi poi presto in un'adolescenza subito sotto i riflettori (alle partite del sedicenne LeBron assistevano in media 16 mila persone, tutte lì solo per lui) e in una maggiore età contrassegnata da ingaggi e contratti di sponsorizzazione sempre in crescendo, fino ai 53 milioni di dollari annui che gli valgono oggi il 15° posto nell'esclusiva classifica "Celebrity 100" regolarmente stilata da Forbes.

Ma si sa che i soldi non sono tutto nella vita, ancora meno quando sei ormai sicuro di averne a sufficienza e ti manca quello per cui te li hanno dati: il titolo NBA, appunto, quello che a LeBron, dopo il passaggio dai Cleveland Cavaliers ai Miami Heat di altri due fuoriclasse del calibro di Dwayne Wade e Chris Bosh, è sfuggito quasi incredibilmente nel 2011 per mano dei Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. Una disfatta che ha aggiunto il classico tocco di "caduta e redenzione" alla sceneggiatura di una vita già di per sé da film: "La sconfitta della scorsa stagione è stata paradossalmente la miglior cosa che poteva accadermi", ha detto lo stesso James, "perché mi ha cambiato come giocatore e come persona, restituendomi la necessaria umiltà per allenarmi più duramente e riuscire a dare di più per la mia squadra". E la chiave sta in quel "team" (e "team-game" riferito al basket) più volte utilizzato nelle interviste post-trionfo dalla stella degli Heat, abituato in passato a essere un one-man-show (spesso anche per conclamata assenza di compagni all'altezza) e sempre più in via di trasformazione per diventare un leader capace di trascinare ma anche di dare il giusto spazio ai compagni (magari anche perché giocatori dalla spiccata personalità come Wade, Bosh o Mario Chalmers, che si dichiara convinto il più forte degli Heat...).

Un nuovo ruolo, quello di LeBron James, che sta anche nell'ultima dichiarazione della sua conferenza-stampa dopo le Finals: "Non so se sono o no il numero 1 dell'NBA, so però che sono un campione". Intendendo "uno" degli Heat che hanno vinto l'anello: se il re saprà conservare l'umiltà ritrovata, il suo regno potrebbe essere destinato a durare molto a lungo.

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Paolo Corio