Gli Abbagnale e il canottaggio, generazione di fenomeni
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Gli Abbagnale e il canottaggio, generazione di fenomeni

Carmine e Giuseppe e gli altri. La storia della famiglia.

Olimpiadi di Seul del 1988, finale canottaggio, specialità “Due con”. In tv, canale Rai, passa la voce di Giampiero Galeazzi, telecronista in stile brasil per via dello parlata ricca di enfasi e di trasporto emotivo. In acqua, a difendere la tradizione italiana, tre campioni che hanno fatto la storia di questo sport: i fratelli Carmine e Giuseppe Abbagnale, e il piccolo ma utilissimo timoniere Giuseppe Di Capua. In gioco c’è l’oro olimpico, che avrebbe replicato il successo a Los Angeles di 4 anni prima.

Sale la febbre per una gara che sembra non finire mai, cresce l’entusiasmo. Galeazzi è in fermento, accompagna con una voce che cresce d’intensità le vogate dei due fratelloni di Castellamare di Stabia. Sono avanti, mancano 50 metri. La Germania dell’Est si fa sotto, ma è troppo tardi, coraggio, l’ultimo sforzo. A casa il pubblico tricolore segue gli ultimi passaggi trattenendo il fiato. Ci siamo, ci siamo, sì, è fatta. “La prua italiana è la prima a vincere”, tuona il giornalista Rai, ex uomo della canoa alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico. Finisce la sofferenza, comincia la festa.

Un altro oro per il canottaggio italiano. Un’altra impresa dell’equipaggio di casa nostra. Un’altra pagina da scrivere nella storia ricca di successi della famiglia Abbagnale. Che con il preziosissimo contributo di Di Capua, generosissimo e sempre pronto a dare fiducia ai due ragazzoni campani che spesso si lasciavano prendere dal pessimismo e da silenzi infiniti, fuori e dentro l’acqua, consegna alla memoria uno dei periodi più belli della spedizione azzurra ai Giochi olimpici.

Il palmares dell’equipaggio stellare è ricco di traguardi impareggiabili. Alle Olimpiadi, due medaglie d’oro e una d’argento, che arriva a Barcellona 1992, la terza e ultima edizione alla quale prendono parte. Ai Mondiali, 12 anni di dominio assoluto, o quasi. Primo show a Monaco di Baviera nel 1981, primo posto che vale l’oro, l’inizio di tutto, l’abc dei loro successi a livello internazionale. Ultimo spettacolo a Racice, ex Cecoslovacchia, argento. Nel mezzo, altri appuntamenti indimenticabili, altre vittorie da leggenda, che si riassumono in un medagliere complessivo ai Mondiali che racconta di un’avventura semplicemente fantastica: 7 ori, 2 argenti e 1 bronzo.

Come hanno fatto? Lo racconta qualche tempo dopo lo zio Giuseppe La Mura, che li ha allenati per anni e che poi si è occupato, nella veste di commissario tecnico della Nazionale, di tenere a freno gli entusiasmi dell’ultimo campione della nidiata, il fratello più piccolo, Agostino, 3 ori olimpici nel 2 e 4 di coppia. “Per ottenere risultati eccezionali basta essere atleti eccezionali che affrontino un lavoro eccezionale con impegno eccezionale: niente di eccezionale”. Semplice, no? Tre fratelli fenomenali, tutto muscoli e cocciutaggine, e uno zio (Peppino, per gli amici) che colpi di forza di volontà, coraggio e determinazione gli indicava la strada per la gloria. Ecco il segreto di una famiglia di fuoriclasse.

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Dario Pelizzari