Tutti gli scandali simbolo della Seconda Repubblica
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Tutti gli scandali simbolo della Seconda Repubblica

Da Giancarlo Galan all'ex tesoriere della Margherita Lusi, passando per Batman e Penati

Cambiano i nomi, e a volte nemmeno quelli, ma i vizi della politica restano sempre gli stessi. Dalla Prima alla Seconda Repubblica sembra infatti essere rimasta irresistibile la tentazione di arricchirsi personalmente grazie al ruolo ricoperto nei partiti o nelle istituzioni. Sindaci, presidenti di Regione, consiglieri, parlamentari, segretari e tesorieri di partito: tutti accusati, in modo trasversale, di aver incassato tangenti, o di essersi appropriati indebitamente di fondi pubblici, o di corruzione o peculato o di più reati insieme. Senza alcuna differenza tra destra, centro e sinistra.

GIANCARLO GALAN. “Non ho le colpe che mi vengono attribuite dai miei accusatori". Coinvolto nello scandalo Mose, l'ex governatore veneto si è difeso così davanti ai giornalisti radunati a Montecitorio e nella memoria difensiva consegnata alla giunta per le autorizzazioni della Camera. In particolare i magistrati lo ritengono responsabile di aver ricevuto da parte del Consorzio Venezia Nuova tangenti sotto forma di acquisto e lavori di restauro nella sua villa a Cinto Euganeo, di aver dichiarato 88 mila euro di reddito tra lui e la moglie a fronte di una rata annua del mutuo della stessa abitazione di 150mila euro, di possedere 10 barche, un conto a San Marino e di un giro di operazioni sospette per 50 milioni di dollari in Indonesia. Ma per Galan si tratta di tutte “fesserie”.

GIORGIO ORSONI. Accusato nell'ambito della tangentopoli veneta sul Mose di aver ricevuto 500mila euro per la sua campagna elettorale in cambio di agevolazioni alle aziende che facevano capo al Consorzio Venezia Nuova, l'ex sindaco di Venezia ha patteggiato una pena a 4 mesi senza però rinunciare a scaricare le colpe sul suo partito, il Pd, e in particolare su Davide Zoggia, Giampiero Marchese e Michele Mognato, che, secondo lui, avrebbero gestito il denaro per suo conto ma senza che lui fosse al corrente da parte di chi arrivassero quei fondi.

PRIMO GREGANTI. Già coinvolto nella Tangentopoli dei primi anni '90 e famoso come il “compagno G.”, lo storico tesoriere del Pci che all'epoca sacrificò se stesso per salvare il suo partito, Primo Greganti è tornato in cella nell'ambito dell'inchiesta su Expo. Arrestati anche l'ex plenipotenziario della Dc lombarda Gianstefano Frigerio, l'ex senatore Pdl Luigi Grillo, il direttore generale delle Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni, il direttore della pianificazione acquisti di Expo, Angelo Paris, l'imprenditore Enrico Maltauro e l’intermediario genovese Sergio Catozzo. “Greganti governa le Coop. E' un martello”, è il testo di un sms trovato nel cellulare di Paris. Per l'accusa il compagno G ha svolto il ruolo di collegamento tra la “cupola” e i politici di centrosinistra.

CLAUDIO SCAJOLA. Il quattro volte ministro è finito nei guai più volte nel corso della sua lunga carriera politica. Arrestato già nell' '83 per tentata concussione aggravata nell'ambito di un'inchiesta sugli appalti del Casino di Sanremo quando era sindaco d'Imperia, Scajola è ricordato come il ministro dell'Interno che definì il giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalla Brigate Rosse il 19 marzo del 2002, “un rompicoglioni”. E' stato coinvolto e assolto in primo grado nello scandalo sugli appalti per i grandi eventi. Era accusato di finanziamento illecito per aver ricevuto, “a sua insaputa”, una parte della cifra per l'acquisto di una casa al Colosseo da parte del faccendiere Diego Anemone. Nei mesi scorsi Scajola è stato arrestato con l'accusa di aver favorito la fuga all'estero di Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.

FRANCANTONIO GENOVESE. Mister preferenze in Sicilia (20mila alle ultime parlamentarie del Pd), è finito in cella (poi ai domiciliari) dopo il sì della Camera all'arresto. E' accusato di associazione a delinquere, truffa e peculato nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei fondi della formazione professionale nella sua Regione. Per la Procura avrebbe commesso anche il reato di riciclaggio per avere intascato, sotto forma di consulenze, 600 mila euro da parte di società del proprio gruppo, parte dei quali erano provento di peculati e frodi alla Regione Siciliana. Genovese sarebbe inoltre responsabile di un giro di false fatture tra sé stesso e società del gruppo a lui riconducibili per frodare sistematicamente il fisco e non pagare le tasse.

ROBERTO FORMIGONI. E' di associazione per delinquere e corruzione per i casi del San Raffaele e fondazione Maugeri l'accusa che riguarda il senatore Ncd ed ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni. In cambio di delibere regionali favorevoli alla fondazione, Formigoni sarebbe stato ripagato con yacht, vacanze di super lusso, un maxi sconto sull'acquisto di una villa in Sardegna, finanziamenti vari, cene e denaro in contanti. Si parla anche di un sistema di consulenze d'oro nella sanità lombarda che secondo gli inquirenti sarebbe stato in funzione fin dagli anni '90.

FRANCO FIORITO. E' con l'arresto di Batman che presero avvio in tutta Italia una serie d'inchieste in cui sono rimasti coinvolti decine di consiglieri regionali e che nel Lazio ha provocato la caduta della giunta Polverini. Accusato di essersi appropriato di un milione e 300 mila euro dai fondi destinati al gruppo consiliare, Fiorito, come molti altri, avrebbe utilizzato soldi pubblici per spese personali: dalle auto alle cene, alle vacanze, all'acquisto di borse e gioielli. Dopo Fiorito sono finiti nel mirino Vincenzo Maruccio dell'Italia dei Valori, Nicole Minetti, Renzo Bossi, Roberto Cota, Raffaele Lombardo ecc.

FRANCESCO BELSITO. Con i soldi dei rimborsi elettorali alla Lega, l'ex tesoriere avrebbe effettuato investimenti in Tanzania e Cipro e pagato le spese dei familiari dell'ex leader del Carroccio Umberto Bossi e dell'ex vicepresidente del Senato Rosi Mauro, ma anche la campagna elettorale di Renzo Bossi per le ultime elezioni regionali e addirittura alcuni lavori di ristrutturazione alla villa della famiglia Bossi a Gemonio. Negli interrogatori Belsito ha fatto i nomi di molti dirigenti del partito che avrebbero ricevuto soldi da lui, tra questi Matteo Salvini e Roberto Calderoli.

FILIPPO PENATI. Da ex sindaco di Sesto San Giovanni a presidente della Provincia di Milano a capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, Filippo Penati finisce coinvolto nel cosiddetto “sistema Sesto” imperniato su un giro di mazzette per opere pubbliche. Da una parte le due aree industriali Falck e Marelli, dall'altra l’acquisto (dal gruppo Gavio) della Provincia di parte delle quote della Milano-Serravalle, con un danno per le casse erariali stimato in 119 milioni di euro. Dopo averlo annunciato Penati non ha rinunciato alla prescrizione dei reati sopraggiunta il 28 febbraio del 2014.

LUIGI LUSI. “Avevo bisogno di quel denaro di cui avevo la disponibilità e l’ho preso”. E' rimasta famosa la giustificazione fornita dall’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi per essersi appropriato indebitamente di 23 milioni di euro di fondi appartenenti al suo partito. Lusi tentò di difendersi all'epoca parlando di “regolari consulenze” pagate dal partito rutelliano alla sua società, la TTT. Poi si giustificò sostenendo di essersi preso quello che gli spettava per 10 anni di lavoro; alla fine l'ammissione. I soldi sarebbero serviti per l'acquisto di case (a Roma in via di Monserrato), ville (a Genzano) e per rimpinguare i conti suoi e della sua srl, italiana ma controllata da una società canadese di cui Lusi stesso era proprietario.

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Claudia Daconto