Un Renzi da dieci e lode in Europa
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Un Renzi da dieci e lode in Europa

Ma gli europei, a differenza nostra, non giudicano dagli spot degli annunci, ma dalle cose fatte - L'ipse dixit di Renzi

Un grande intervento. Anche geniale, per certi aspetti. Centrato. L’unico possibile. Efficace. Bisogna risentirlo, per capire fino in fondo quale sia la novità dell’intervento inaugurale del semestre di presidenza italiana della UE che Matteo Renzi ha pronunciato davanti all’Europarlamento appena insediato a Strasburgo. Renzi poteva svolgere con diligenza il tema della crescita necessaria. Poteva ripetere lo slogan del cambiare verso all’Europa e citare coscienziosamente tutti i temi che la presidenza italiana toccherà per assolvere al suo compito.

Ma Renzi sa benissimo che la presidenza di turno è solo un semestre, che per di più quella italiana cade in una fase di transizione in cui mancano addirittura, fino a novembre-dicembre, i vertici delle istituzioni comunitarie che dovranno essere scelti, eletti e dovranno insediarsi. Non solo: Renzi sa perfettamente che parla a nome di un Paese che i nostri partner sanno essere drammaticamente in ritardo sulle riforme e oberato da un debito pubblico da paura, senza che si veda realmente uno spiraglio in fondo al tunnel che non siano le luci del treno a cui allude, nel suo modo crudo, distruttivo e sarcastico, il “comico” Beppe Grillo.

Il treno che ci schiaccerà.

Renzi sa, per averlo già toccato con mano nei primi vertici al tavolo coi partner, e per esserselo sentito ripetere in modo secco prima dal premier finlandese poi da quello olandese, che il blocco teutonico del Nord Europa non consentirà di “cambiare verso”, ossia di cambiare le regole. Concederà solo, forse, qualche “miglior uso della flessibilità”, come recitano le carte ufficiali, per stressare il fronte della crescita nel patto che si chiama (ha sottolineato Renzi) di “stabilità e di crescita”.

Renzi cosa fa. Consegna brevi manu il discorso preparato dai burocrati al presidente dell’Europarlamento, per declamare a braccio poco più di 18 minuti di concetti realmente innovativi. Anzitutto nel linguaggio.

Renzi ha l’abitudine di puntare sulle parole chiave, quelle che ti restano scolpite nel cervello. Quelle dell’esordio europeo sono: anima, avanguardia, frontiera, semplicità, valori, coraggio, orgoglio, generazione nuova. Parole evocative che rimandano a una ritrovata fiducia degli europei nel futuro. Fa ancora una certa impressione ascoltare il premier, in un’aula sorda e buia come quella di Strasburgo affollata di euro-aficionados e di euroscettici ancora più retorici degli europeisti, che ha avuto la sfrontatezza di usare termini come “un puntino su google map”, “smart Europe” e “climate change”. Di più. Non ha esitato a citare (ma senza virgolettati, solo figure che sono miti greco-romani, condivisi e a riprova del valore aggiunto di un’Europa del Sud forte di una tradizione millenaria) i grandi europei come Aristotele e Dante, Archimede e Leonardo da Vinci. I simboli di una classicità che non tramonta (Anchise-Enea, Pericle e Cicerone, Agorà e Forum, Tempio e Chiesa, Partenone e Colosseo), per rimarcare che è arrivata “l’ora di Telemaco”. Viene da pensare al bel libro dell’analista Massimo Recalcati, “Il complesso di Telemaco”, in cui s’indaga l’ansia e la nostalgia del ritorno del padre, nella prospettiva di un’autonomia tutta da conquistare. Tutta rivolta al futuro.

Per dirla con Recalcati: “Le nuove generazioni sono impegnate - come Telemaco - nel realizzare il movimento singolare di riconquista del proprio avvenire, della propria eredità”. È questo il testimone che passa da una generazione all’altra, il bagaglio da cui Renzi fa discendere “il coraggio e l’orgoglio” del farsi degni di una “eredità”. Il tempo dei padri è finito. Per rincorrere il tempo che fuori dall’Europa scivola via a una velocità doppia, ci vuole una nuova generazione. E la “generazione Telemaco” ai tempi di Maastricht non era ancora maggiorenne (esattamente come Renzi). 

Il senso è che l’Europa non risiede solo nel dibattito sull’economia e sullo stato delle finanze pubbliche. L’Europa è una comunità di valori che deve imparare a fare politica estera e occuparsi non solo di spread e debito, ma di quanti (in prima linea le donne) combattono per la libertà, dalla Nigeria all’Egitto e al Pakistan. L’Europa è quella “espressione dell’anima” che deve incarnare e esprimere idee chiare su come affrontare la crisi ucraina, su che cosa significhi il rapporto con la Russia, oppure la vicenda israelo-palestinese in cui Israele ha il diritto-dovere di esistere anche in virtù dei valori che rappresenta. Ecco, il nocciolo dell’intervento è nell’esortazione a considerare l’Europa non più una mera espressione geografica, ma una “espressione dell’anima”. Poi, naturalmente, si parlerà anche di spread e di crescita. Di investimenti e disoccupazione. Ma, prima, occorre intendersi sull’identità.

Infine, è bello che Renzi difenda il primato dell’Italia, Paese fondatore dell’Europa e Paese che dà all’Europa più di quanto ne riceva, Paese che non va in Europa per chiedere ma per dare. E che non accetta lezioni da nessuno, tanto meno dalla Germania che ha preteso (e ottenuto) ben prima dell’Italia non la flessibilità, ma la violazione delle regole (era il 2003). Fa effetto ascoltare, dopo Renzi, l’incoraggiamento alle riforme da parte del portoghese Barroso che è stato (inutilmente) presidente della Commissione per due mandati. E a maggior ragione fanno pena i commenti dei dinosauri di un’Europa fallimentare come Verhofstadt, che tuona contro Berlusconi che ci avrebbe fatto perdere dieci anni a parlare di donne e calcio. Ma tutti sanno il motivo del livore di Verhofstadt: Berlusconi gli preferì Barroso alla presidenza della Commissione, perché non accettava l’imposizione di quello che era (ancora) l’asse Francia-Germania, che decideva tutto senza discuterne con nessuno e pensava di aver già “nominato” Verhofstadt. In fondo, Berlusconi diceva quello che dice oggi Renzi: l’Europa è anzitutto un perimetro di valori. E, certo, non è solo stabilità ma anche crescita.

Dieci e lode quindi a Renzi, al quale si può perdonare il lapsus freudiano di dire “noi parlamentari” senza concludere la frase (perché si accorge di non essere stato eletto in nessun Parlamento). Poco importa: il 40 e passa per cento di voti in Italia fa del Pd il partito più votato in Europa. L’unico limite del discorso di Renzi è che sarà pure un genio della comunicazione e un formidabile scommettitore, ma prima o poi i suoi amici e nemici gli vorranno vedere le carte. Gli chiederanno di calarle.

In Italia spesso basta che le cose vengano annunciate per credere che siano fatte. In Europa no: tutti sanno che gli italiani sono campioni di bluff, ma non c’è dubbio che l’Italia di Renzi ha conquistato un credito, una dignità politica e personale, che serve non solo all’Italia ma a tutta l’Europa.     

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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