L'errore (orrore) di Luigi Gigli e di Kabobo
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L'errore (orrore) di Luigi Gigli e di Kabobo

Il deputato di Scelta Civica cerca di giustificare il triplice omicidio del ghanese. Ma a tutto c'è un limite

Clicco sul video che riporta l’intervento del deputato di Scelta Civica Gian Luigi Gigli, friulano, medico. Voglio esser sicuro di quello che ho letto. Di quello che Gigli ha detto su Mada Kabobo, il ghanese che ha aggredito e ucciso a picconate tre uomini a Milano Niguarda:

“Un giovane immigrato di anni 21, probabilmente sballottato dalle durezze della vita sulle nostre coste. Quella persona era a passeggio proprio per rispetto delle nostre leggi, aveva infatti presentato domanda di ricorso contro il decreto di espulsione ed era in attesa di decisione… Trovarsi per le necessità della vita a 21 anni in un Paese del quale forse si conosce a malapena la lingua, in una condizione di disoccupazione, probabilmente anche di disperazione, credo che possa far uscire di testa chiunque”.

“Sono intervenuto come medico, prima che come deputato”, ha precisato poi Gigli a Radio24. A voler seguire il suo ragionamento, qualsiasi strage è comprensibile e quindi giustificabile, anche se non è chiaro a quale altezza si debba fissare l’asticella dell’“acting out” (passaggio all’azione). L’unica esagerazione sembra essere quel “chiunque potrebbe uscire di testa”. Ecco, non proprio “chiunque”.

Come non riconoscere che qualsiasi pluriomicida agisce sulla base di una propria disperazione e/o soggettiva percezione del “disagio sociale”. Ed è forse meno giustificabile il “disagio psicologico” di quello economico? Era mosso da disperazione anche il capostipite di tutti gli omicidi di massa, quell’Howard Unruh, “giovane reduce di guerra di 28 anni” lo definirebbe Gigli, che l’8 settembre 1949 freddò a pistolettate 12 persone sotto casa a East Camden, New Jersey. Disperato perché di notte gli avevano rubato il cancelletto appena montato in giardino. Del resto, si può porre un limite all’“uscire di testa”? Tre, dodici o trecento morti hanno idealmente lo stesso peso di uno solo, per la bilancia della vita. E come non riconoscere una disperata solitudine nella gran parte degli stupri? Se Kabobo avesse stuprato, invece di fare una strage, Gigli avrebbe usato gli stessi argomenti? Ne dubito.

C’è un doppio errore (orrore) nell’affermazione di Gigli. La prima è nel presupposto ideologico del giustificazionismo: chiunque può uscire di testa perché chiunque è buono per natura e soltanto la disperazione oggettiva lo trasforma in mostro. Breve il passo da questa forma di giustificazionismo a quell’altra, genericamente leninista, per cui è lecito colpire il “nemico di classe”, o a quella nazista, coloniale, razzista, integralista per cui basta il colore della pelle, delle idee, o il naso adunco, a condannare qualcuno alle docce a gas, alla forca, allo sgozzamento o agli esperimenti umani. Basta cambiare la base della giustificazione (e la cifra della disperazione).

Il secondo errore è quello di non considerare mai la disperazione delle vittime e, soprattutto, dei familiari delle vittime. Sotto i colpi di Kabobo sono caduti il disoccupato di 40 anni Alessandro Carolè, il pensionato di 64 Ermanno Masini, e un coetaneo di Kabobo, il 21enne Daniele Carella, che ogni notte fra le 2 e le 6 del mattino aiutava il padre a distribuire i giornali. Anche il padre di Daniele oggi ha qualche buona ragione per “uscire di testa”. Senza considerare le potenziali vittime del potenziale nuovo disperato alla Kabobo che s’incamminerà col piccone in spalla a sfogare le sue angosce.

Compatire le vittime, aiutarle a redimersi, curarne il cervello, non ha nulla a che vedere con il giustificarle. Comprendere non significa assolvere. Ci sono paletti che anzitutto nel linguaggio comune non vanno superati, e che specialmente un parlamentare non dovrebbe infrangere. Il mondo fa schifo, è orribile. La miseria, la solitudine, l’ingiustizia sono dappertutto. Vanno combattute. Ma non a picconate contro gli innocenti, a pistolettate contro i carabinieri, a squallide minacce sul web. Chi “esce di testa” non come il povero muratore di 64 anni che si è dato fuoco ieri in Sicilia per un debito con la banca di 10mila euro, ma mietendo teste di sconosciuti nella notte, non ha e non può avere giustificazioni. È ignobile e irresponsabile definirlo “uno che era a passeggio per rispetto delle nostre leggi”.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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