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A mani nude davanti all'orrore

L'Isis insanguina l'Europa: i confini continentali sono fragili. E quelli dell'Italia permeabili a disperati e terroristi

Il mondo libero è sotto attacco", ha detto costernata il premier inglese Theresa May dopo l'ultima carneficina a Londra di sabato 3 giugno.

Le stesse parole le avevamo sentite da François Hollande dopo gli attentati di Parigi nel gennaio 2015 e ancoraa ridosso di Natale dello scorso anno da Angela Merkel in seguito alla strage al mercatino di Charlottenburg a Berlino.

"È un attacco a tutti noi", si ripete ogni volta che i soldati dell'Isis vengono a scannarci in ogni angolo dell'Europa. Diciamolo con molta franchezza: suona stonata la battuta del primo ministro britannico quando, ora e solo ora, dice che "enough is enough", quando è troppo è troppo.

La misura dell'orrore era già colma da tempo, da troppo tempo. E la balbuzie dell'Europa è diventata incapacità di costituire un organismo davvero condiviso tra gli Stati per la lotta ai demoni dell'Isis.

Il punto è tutto qui.

La prevenzione nei confini dell'Unione nei confronti di chi è già tra noi e l'opera di contenimento negli stati che sono serbatoio di terroristi sono purtroppo due fallimenti.

Perché chiunque trova inaccettabile che due assassini su tre entrati in azione in mezza Europa nel nome dell'Isis fossero "noti" ai servizi segreti: erano stati "attenzionati", addirittura arrestati in alcuni casi e rimessi in libertà, comunque successivamente "segnalati" e "monitorati".

Peccato che abbiano sempre portato a termine la loro missione di morte.

Quanto invece alla capacità di fermare l'arrivo di nuovi "martiri", l'impotenza è solare ed è sufficiente guardare al traffico indiscriminato di immigrati in arrivo dalla Libia.

Doveva esserci un muro navale a protezione dei confini nostri e dell'Europa intera e sappiamo com'è finita: una gruviera. Barconi e gommoni vanno e vengono, salpano indistintamente disperati e malintenzionati.

L'ultima operazione di martedì 6 giugno della Guardia di finanza di Palermo ci consegna addirittura un'organizzazione italo-tunisina che andava avanti e indietro con la Sicilia (ma non doveva esserci il blocco navale?) imbarcando persone il cui "rischio" era quello "di essere respinti per terrorismo" al punto da far dire agli inquirenti come "il sodalizio criminale costituisca una seria minaccia alla sicurezza nazionale". Una "seria minaccia", dunque.

Come quella di Youssef Zaghba, marocchino di madre italiana con passaporto italiano: è uno dei macellai di Londra ucciso dopo la strage del 3 giugno, arrestato in Italia per terrorismo nel 2016 ma rilasciato da un giudice per insufficienza di indizi e libero di scorrazzare per l'Europa.

O come Anis Amri, il terrorista del mercatino di Berlino, altro habitué del nostro Paese dove era tornato dopo l'attentato e dove è stato ucciso dalla polizia.

Di gente come loro i nostri servizi di sicurezza ne "monitorano" centinaia: sono tutte potenziali "serie minacce", di quelle che fanno dire a chi lavora sul terreno che siamo vicini a non dire più "se" accadrà un attentato in Italia ma "quando".

A fronte di questa prospettiva occorrono, ora e subito, atti di coraggio e responsabilità anche a costo di comprimere alcuni diritti fondamentali nei confronti di tutti i sospettati di terrorismo. Magari non saremo per un po' la culla del diritto, forse però riusciremo a dormire sonni più tranquilli.

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Giorgio Mulè