La guerra dimenticata del Kurdistan turco
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La guerra dimenticata del Kurdistan turco

Il 2012 è stato uno degli anni più terribili del conflitto tra PKK ed esercito turco e la crisi siriana rischia di aggravare la situazione

Sono passati quasi trent’anni da quando il movimento indipendentista curdo PKK ha dichiarato guerra alla Turchia per ottenere l’indipendenza del Kurdistan. Gli scontri tra esercito e ribelli hanno cambiato la vita di milioni di cittadini turchi e hanno segnato per sempre la storia di questo Paese.

Centinaia di famiglie turche hanno perso un figlio, ucciso in uno degli attacchi del PKK, durante il servizio militare obbligatorio. Più di un milione di curdi sono stati costretti ad abbandonare uno dei 3428 villaggi evacuati dalle forze di sicurezza turche e hanno dovuto ricominciare la loro vita nell’Ovest del Paese. Istanbul è diventata la città curda più grande del mondo e si stima che più di due milioni di abitanti della capitale economica delle Turchia parlino uno dei tre idiomi curdi più importanti.

Secondo il think tank International Crisis Group, gli scontri tra PKK ed esercito turco hanno provocato più di 700 vittime negli ultimi quattordici mesi. Tra loro ci sono 144 membri delle forze armate, 29 civili e 250-500 guerriglieri del PKK uccisi nel 2012. Alle vittime di questi ultimi mesi bisogna aggiungere circa 40.000 persone che hanno perso la vita dal 1984, anno in cui il PKK ha aperto le ostilità.

Gli attacchi del PKK a civili turchi e turisti stranieri hanno convinto l’Unione Europea a inserire il movimento indipendentista curdo nella lista dei gruppi terroristi e hanno spinto il governo di Ankara ad approvare una severa legislazione “anti-terrorismo”. Gli articoli sei e sette di questa legge puniscono con l’arresto chiunque sia accusato di “propaganda terroristica”. La conseguenza è che il numero di giornalisti che si trovano nelle galere turche per motivi politici ha superato quello della somma dei giornalisti di Iran e Cina che si trovano in carcere per le stesse ragioni.

La situazione potrebbe peggiorare nei prossimi anni per motivi interni e ragioni geopolitiche. Secondo Zeynep Gambetti, professore associato dell’Università Boğazici di Istanbul, “c’è una radicalizzazione in atto da parte della Turchia e del PKK”. La popolazione turca è esasperata dal conflitto e chiede misure severe per limitare le attività terroristiche. Diversi attivisti, sindaci, giornalisti, professori e studenti sono stati arrestati con l’accusa di avere avuto dei contatti con alcuni membri delle cellule clandestine del PKK nella città dell’Est. Queste decisioni del governo hanno portato ad un crescente malcontento tra diversi curdi che vorrebbero un maggior federalismo e più autonomia all’interno del Paese. Tuttavia, bisogna riconoscere che alcune delle richieste avanzate da alcuni gruppi politici ed attivisti curdi sono state accettate dalla Turchia.

Fino agli anni ottanta, la parola Kurdistan era bandita dal dibattito e ci si riferiva ai curdi con il nome di “turchi delle montagne”. Oggi esistono delle televisioni satellitari nelle quali si parla una delle lingue curde ed è consentito indicare il nome curdo delle località geografiche nei cartelli stradali. Inoltre, dal prossimo anno, sarà probabilmente concesso ai curdi di insegnare il loro idioma nelle scuole.

La guerra civile siriana rischia, però, di avere conseguenze anche in Turchia. Come sostiene Zeyneb Gambetti, “la notizia che quattro cittadine siano sotto controllo curdo nel nord della Siria ha rinforzato le speranze del PKK di poter stabilire una roccaforte nel Sud Est della Turchia” e potrebbe convincere diversi combattenti ad intensificare gli attacchi al governo di Ankara, partendo dal territorio siriano. Per la Turchia, questo significherebbe dover aprire un altro fronte di scontro. Oggi la maggior parte dei campi di addestramento del PKK si trovavano nel Kurdistan iracheno, vicino al monte Qandil. Per questa ragione, la zona al confine con l’Iraq è il territorio più pericoloso della Turchia. Questa regione irachena è stata bombardata dai jet turchi nel 2011, ma è probabile che questo non sia bastato ad eliminare la presenza del PKK.

La violenza di questi giorni dimostra che la risposta militare non è sufficiente. Tuttavia non è facile per il governo turco accettare di concedere più autonomia ai curdi, in un Paese in cui è proibito utilizzare le lettere Q, X, W nei documenti ufficiali, poiché sono presenti nell'alfabeto curdo, ma non esistono nella lingua turca. Molte delle aperture del governo di Ankara nei confronti dei curdi vengono percepite come dei segnali di debolezza da parte dell’opinione pubblica. La situazione è in una fase di stallo e la soluzione al conflitto appare ancora lontana, nonostante Erdoğan abbia dichiarato di voler riaprire i colloqui con il PKK. La questione rischia di essere l’ostacolo più difficile da superare per la Turchia, quello che potrebbe pregiudicarne l’ingresso nell’Unione Europea.

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Matteo Colombo

Vive tra Ankara e Il Cairo per studiare arabo e turco. Collabora con  diversi siti di politica internazionale. Le sue grandi passioni sono  l’Egitto, la Siria e la Turchia

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