Club Dogo: la Wikipedia (più autorevole su di loro) è Club Privé
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Club Dogo: la Wikipedia (più autorevole su di loro) è Club Privé

Il documentario di Mtv visto nei dettagli, per provare a cogliere insieme (in una missione non proprio semplice) la natura più profonda della band. L'amore per la musica e la quotidianità delle rock star.

"I giocatori giocano a calcio, le ginnaste fanno le capriole, i Club Dogo fanno schifo". È con queste parole ironiche del brillante Jake La Furia si presenta "Club Privé", il programma in otto puntate di Mtv che ogni lunedì sera alle 22 (in replica anche il giovedì e il venerdì) si propone di raccontare la vita del trio rap così amato in Italia. Ci siamo chiesti: cosa impareremo su di loro?

Abbiamo voluto darci una risposta e abbiamo visto con voi i primi sei episodi andati finora in onda per farci più di un'idea. Le riprese cominciano più o meno a fine settembre 2012, in contemporanea con gli Hip Hop Tv Birthday Party (e la loro partecipazione al fianco di Max Pezzali) e si sono concluse (per ora, per quello che abbiamo visto nella puntata del 7 dicembre) al 16/17 novembre con la data del tour a Torino, per arrivare presto alla data milanese del 6 dicembre.

Abbiamo visto i festeggiamenti per il disco d'oro, il sogno di arrivare presto al disco di platino, il tatuaggio di Don Joe per l'ottimo successo di  "Noi siamo il Club" e dell'attuale versione "Reloaded edition". La mente imprenditoriale e economicamente gratificata di chi c'è l'ha fatta e non fa nulla per nasconderlo. Il momento in cui sentono "PES" allo stadio prima di una partita allo stadio per vedere il Milan e non nascondere l'emozione. Perché anche loro si emozionano.

Sì, perché tra feste annegate nell'alcol, party e post party, locali di spogliarelliste, giornate intere passate al covo operativo (il corrispettivo della caverna di Batman, per dire), il Berlin di Milano, si scorge la necessità di mostrare che il loro lavoro di rapper sia, soprattutto, "arte". E non solo un modo come un altro per far soldi.

Secondo Jake La Furia noi giornalisti siamo, citiamo, "una categoria da schiacciare sotto la macchina", e a volte o troppo spesso chi va ai concerti o negli incontri pubblici si è dimostrato talmente interessato a loro come persone, come riferimenti di vita o sex symbol, che la loro musica a volte è passata e passa in secondo piano. Siamo sicuri che sia davvero così? Cosa sbagliamo noi giornalisti e dove sbagliano i fan?

Nel documentario di Mtv, appassionante con la sua forma narrativa che parte dalla cultura classica per raccontare quella contemporanea e decisamente terrena dei Dogo, si scorge solo in lontananza, ad esempio, il fatto che Don Joe sia tappato in una stanza senza finestre dieci ore al giorno per elaborare suoni e per pensare a un prossimo album dove i suoni elettronici lasceranno più spazio a arrangiamenti acustici.

O al fatto che Gué Pequeno dopo tanti anni di carriera sia ancora capace di elaborare rime taglienti e scioglierle in fase di registrazione con doti da supereroe, lasciando a bocca aperta un emergente maturo e capace come Ensi. O che ad esempio Jake La Furia abbia ancora tutto l'entusiasmo di un bambino, con la voglia di migliorarsi, dimagrire, mettere amore spontaneo e concreto in quello che fa.

Amano le donne, ci presentano le "scopamiche", vivono una vita fatta di serpenti ammaestrati, collezioni di scarpe, gioielli customizzati, moto e macchine da sogno. Sono testimoni oculari della folle vita di Emi Lo Zio, una colonna visibile del trio, metafora di quelle vita che partono dal basso, dalla polvere e diventano straordinarie, con merito, senza buonismo di facciata.

No, in questo documentario non li troveremo più simpatici, più amabili, ma sono esattamente la rappresentazione fedele (o almeno così si spera) di come sono nella realtà. Gué Pequeno in una delle ultime puntate ha detto: "I media che mi fanno parlare di droghe e di donne mi hanno stancato perché al primo posto per noi c'è la musica".

A noi piace pensare che la loro vita decisamente fuori dai canoni della giacca e della cravatta (quella sfoggiata in modo divertente nel repackaging dell'ultimo album) sia esattamente quello che porta i testi, che non parlano di filosofia morale, a essere così vicini al pubblico. Non dei modelli da imitare in tutto e per tutto, ecco, ma personaggi quasi normali con una vita speciale, un po' più divertente e appassionante della nostra, da raccontare senza inventarsi niente.

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Alessandro Alicandri