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(Getty Images)
Difesa e Aerospazio

L'Europa vuole armarsi, ma diventare produttori indipendenti non sarà facile

Oggi la Ue vive per il 66% dal mercato estero ma punta in 10 anni ad invertire le percentuali. Una buona notizia per le aziende produttrici ma servono investimenti

La Commissione europea ha proposto un piano da 1,5 miliardi di euro per incrementare la produzione di armi promuovendo acquisti congiunti tra gli Stati membri per almeno il 40% delle armi entro il 2030. Si tratterà di appalti comuni e di norme per garantire che, entro il 2035, almeno il 65% degli armamenti sia prodotto nell’Unione. Il piano si chiama Edip (European Defence Industry Programme) e serve per attuare le linee guida chiamate Edis (Strategia europea per il settore industriale della difesa). Così ieri Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, durante una conferenza stampa a Bruxelles ha detto: “La guerra è alle nostre frontiere e l’aggressione della Russia all’Ucraina ha suscitato un grande senso d’urgenza nel rafforzare le nostre capacità industriali militari”. Fin qui la cronaca, ma è fondamentale comprendere in quale situazione geopolitica si inserisce questa decisione partendo dal fatto che, con un miliardo e mezzo da dividere nelle esigenze di 27 Paesi, in fatto d’armi si fa veramente poco. Al tempo stesso serve ammettere che dal febbraio 2022 al giugno 2023 gli stati dell’Ue hanno speso più di cento miliardi di euro in armi, ma che quasi l’80% è andato a fornitori extra Ue. Oggi ciascuno degli stati membri è responsabile del proprio bilancio della difesa e anche della propria politica di esportazione delle armi che produce. Abbiamo quindi sempre assistito a una sorta di nazionalismo che ha spinto paesi come Francia e Germania ad acquistare prodotti nazionali piuttosto che europei, con il risultato di aver creato una frammentazione tale di produttori da moltiplicare i costi. Un rapporto del Parlamento europeo pubblicato nel 2019 aveva rilevato che le duplicazioni delle politiche di sicurezza e difesa all’interno dell’Unione ammontavano ad almeno 22 miliardi di euro l’anno, ed è l’osservazione sulla quale si basa l’iniziativa della Commissione.

Su Edip la vicepresidente esecutiva della Commissione europea Margrethe Vestager ha commentato: “Negli ultimi due anni abbiamo dovuto affrontare la situazione di un'industria della difesa senza capacità produttiva sufficiente per soddisfare il forte aumento della domanda, ci siamo confrontati con una ben nota frammentazione che limita le economie di scala e crea sfiducia, impedendo al contempo un’autentica concorrenza tra gli attori industriali. Ciò comporta gravi inefficienze e un valore insufficiente per il denaro dei contribuenti”. Infine, ecco le parole di Thierry Breton, commissario Ue per il mercato interno: “I finanziamenti per Edip andranno dal 2025 al 2027 e serviranno da ponte fino a quando l’Unione non negozierà un nuovo bilancio a lungo termine.”

In concreto (poco a parte i soldi) il programma prevede un regolamento per incentivare gli appalti congiunti da parte degli Stati membri, offrendo aiuti dal bilancio comune per rimborsare parzialmente tali acquisizioni e un sostegno finanziario continuo per rafforzare la capacità industriale e di difesa. La commissione ha poi suggerito che i profitti generati dai beni russi congelati possano essere usati per finanziare il sostegno all’Ucraina nel quadro dell’Edip, previa decisione del Consiglio europeo, possibilità che dovrà però passare prima dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

L’effetto possibile del nuovo provvedimento

L’occasione offerta da Edip di rivelerà ghiotta per accorpare aziende mediante fusioni, poiché soltanto in quel modo si potranno spuntare prezzi migliori e trasferire tecnologie. È noto, infatti, che chi produce il miglior prodotto (aereo, elicottero, cannone, radar o altro), raramente è lo stesso che lo vende al costo più competitivo. E poi è noto che gli appetiti francesi su certe aziende italiane sono ancora notevoli, perciò senza cambiare le regole per le quali ogni nazione è libera di determinare il proprio budget di spese militari anno dopo anno è evidente che l’Edip potrà soltanto cercare di farci spendere meglio i nostri soldi, per esempio disponendo di un fondo per risolvere i colli di bottiglia della catena di approvvigionamento nel settore della difesa dell’Unione, in particolare aiutando le numerosissime piccole e medie imprese che lavorano per i grandi gruppi (Airbus, Leonardo, Rheinmetall, Fincantieri, eccetera), con finanziamenti. La Commissione Ue prevede quindi di chiedere agli organi di governo della Banca europea per gli investimenti di rivedere rapidamente le politiche di prestito che attualmente limitano i fondi per le attività a duplice scopo, civile e militare. A decidere su questi temi e sulle commesse sarà un comitato creato appositamente dalla Commissione che possa definire le priorità per definire e coordinare i piani di approvvigionamento dei paesi. Secondo Breton, l'Edip dovrebbe comprendere anche misure per consentire l'acquisto prioritario di attrezzature civili e militari nel caso in cui il Consiglio europeo dichiari una crisi di approvvigionamento o di sicurezza. Un’idea non del tutto nuova, poiché lo scorso anno Il Consiglio aveva respinto una misura simile inclusa nel piano della Commissione per aumentare la produzione di munizioni dell’Unione.

Tutto questo deve però superare le regolamentazioni nazionali e misurarsi su quanto si vuole produrre per l’esportazione. Dovranno essere superate le rigidità tedesche verso le vendite all’estero, la propensione francese e belga a fare il contrario e la nostra Italia piena di pacifisti, come stanno dimostrando i recenti tentativi di fermare l’aggiornamento della legge 185/90 (Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento), atto passato in Senato il 22 febbraio scorso. Ci vorrà quindi ancora molto tempo affinché l’industria militare dell’Unione possa organizzarsi come se appartenesse a una sola grande nazione, e altrettanto affinché si riescano a fondere taluni programmi appena cominciati riconoscendo a uno stato piuttosto che a un altro di avere sul proprio territorio l’azienda migliore per un determinato armamento, sistema o munizionamento. Un esempio: la Francia, con Dassault, non cederà mai l’autorità di progettazione dei comandi di volo del nuovo caccia Fcas fatto con Germania e Spagna nel caso il programma si fondesse con quello italo-inglese-giapponese, il Gcap. Questioni non da poco, dal momento che in Europa la produzione di armi è limitata da decenni, tanto che a due anni dall’inizio del conflitto, la promessa dell’Unione Europea di fornire un milione di proietti all’Ucraina entro questo mese non sarà rispettata e Kiev ne riceverà soltanto poco più della metà. Se oggi in Europa si producono circa 1,4 milioni di proietti d’artiglieria, è vero anche che il 40% di questi è destinato agli arsenali nazionali dei Paesi Ue, e che per arrivare a 2 milioni e darli a Kiev bisognerà attendere il 2025. Ma in ucraina ne vengono sparati oltre 5.000 ogni giorno. Speriamo che l’anno prossimo non servano già più.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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