Eddy Merckx al traguardo dei 68 (e quello sprint del '67)
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Eddy Merckx al traguardo dei 68 (e quello sprint del '67)

Nato il 17 giugno 1945, il "Cannibale" rimane ancora ben impresso nella memoria di chi l'ha visto correre. Come nel caso di un giornalista allora quattordicenne - LE IMMAGINI

di Luciano Boccaccini* - per gentile concessione del sito sportivamentemag

Buon compleanno a Eddy Merckx, il più forte ciclista di ogni tempo. Il più grande? Fausto Coppi. La grandezza non si misura con lo stesso metro della forza. Il campionissimo di Castellania ha pedalato tra le macerie, unendo un Paese distrutto da una lunga guerra. Eddy ha tirato il collo a tutti nell’Italia del benessere economico.

Una volta Sergio Neri, direttore di Bicisport, alla mia domanda: “Più forte Coppi o Merckx?”, diede questa risposta: “A vent’anni Merckx mangiava bistecche mentre Coppi era in un campo di concentramento”.

Merckx, fiammingo di Menseel Kiezegem, è nato 68 anni fa.

L’ho ancora davanti agli occhi quando vinse in volata la tappa più breve del Giro del Cinquantenario (1967). Da Riccione al Lido degli Estensi, a pochi passi da casa mia. Una volata lunga 94 Km, su strade piatte come un biliardo. Neanche un cavalcavia.

Il giovane Eddy, non ancora ventiduenne ma già vincitore di due Sanremo, indossa la maglia bianconera a scacchi della Peugeot. Ha già vinto sul Block Haus. Stadio, il quotidiano bolognese color verdino, diretto da Luigi Chierici, al seguito della corsa rosa, titola: “Merckx: il rosa è vicino?”.
E invece l’asso fiammingo pagherà lo scotto del noviziato chiudendo al decimo posto quel Giro. Lo vincerà il nostro Felice Gimondi, a capo di un’impresa titanica, da Trento a Tirano. Torno a quella tappa, ai miei 14 anni. Era il 2 giugno. Ricordo tutto come se fosse ieri.

Sul palco il vecchio Girardengo insieme al bolognese Corlaita, due pionieri. E poi Nando Martellini, perennemente stretto nella tuta azzurrina della Rai. E Sandro Ciotti che, lasciata la tuta, indossava un abito bianco e la camicia col colletto largo. E Ameri, Carapezzi, Italo Gaglano, Sergio Zavoli alle prese con il suo storico “processo”.

E ancora Ugo Tognazzi, che quella sera presentò il suo spettacolo, giocando con Rudy Altig, in maglia iridata, compagno di squadra di Gimondi. E la mitica squadra spagnola della Kas, con la maglia rosa di quel giorno, Perez Frances. E la Molteni di Motta, la Germanvox di Taccone, la Salamini di Adorni. La sala stampa al Tropicana Club, storica balera creata da Carlo Emilio Rossi, uno dei parolieri amato da Mina.

Il ticchettio delle macchine da scrivere, le lunghe telefonate dei pezzi al giornale, gli alberghi dei corridori. Eddy come un pesce fuor d’acqua, mi si avvicina e chiede dove si trova l’albergo Coralo, proprio così, una elle sola. Glielo indico, a 300 metri dal traguardo, sulla rotonda che lui ha preso in testa, rischiando grosso ma battendo il suo rivale di sempre, Willy Planckaert.

Sembra la copia dell’arrivo iridato a Sallanches, Mondiale dilettanti di tre anni prima (1964, ndr). Primo Merckx secondo Planckaert. E invece è soltanto la tappa più breve del Giro. Quella forse più insignificante ma che per me vale un’intera stagione, anzi tutti quei 14 anni.

Quel giorno ho cominciato a dimenticare i dribbling e i tunnel di Omar Sivori, il mio idolo, per innamorarmi della bicicletta, che, come diceva Aligi Sassu, incarna il mito della libertà.

*L'autore di questo articolo, classe 1953, ha sempre inseguito tre grandi passioni: il giornalismo (per vent’anni corrispondente de Il Resto del Carlino), la lettura (biblioteca personale di 11 mila volumi, di cui un migliaio sul ciclismo) e la bicicletta. Altri suoi racconti e ricordi cliccando sportivamentemag.

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