A volte la parte più difficile non è dire addio: è decidere cosa fare dopo. Ed è esattamente ciò che sta succedendo con l’eredità di Pippo Baudo. Non la sua eredità artistica — quella è già scolpita nella storia della televisione italiana, con Carlo Conti pronto a dedicargli Sanremo 2026 e con il record di 13 conduzioni che nessuno potrà scalfire presto. Qui parliamo dell’altra eredità. Quella materiale. E tre mesi dopo, nessuno l’ha ancora accettata.
Il testamento si è aperto il 9 settembre, nello studio del notaio Renato Carraffa a Bracciano. Attorno al tavolo c’erano i due figli riconosciuti del conduttore, Tiziana e Alessandro, gli avvocati e Dina Minna, l’assistente che ha lavorato con Baudo per 36 anni consecutivi. Un rapporto professionale lungo, raro e quasi antico, ripagato con una quota ereditaria quasi identica a quella dei due figli. Una scelta che, in qualunque galassia dello spettacolo italiano, sarebbe bastata da sola a generare domande, supposizioni, dietrologie. Eppure qui non si parla solo di sussurri. La realtà è chiara: nessuno ha accettato. E quando una firma non arriva, soprattutto con una cifra così importante sul tavolo, significa che c’è qualcosa da verificare.
Tecnicamente l’eredità può essere accettata entro dieci anni, ma nella realtà, in famiglie che conoscono la macchina televisiva, le tempistiche, i riflessi mediatici e gli effetti di ogni decisione pubblica, tutto si risolve nel giro di giorni o, al massimo, settimane. Tre mesi sono un’eternità. E in un testamento che coinvolge circa 10 milioni di euro, ogni rinvio pesa, quasi più delle parole.
Il patrimonio di Baudo tra cachet, immobili e decenni di carriera da “paperone” televisivo
Le prime stime parlavano di 10 milioni di euro. Una cifra gigantesca per chiunque, ma proporzionata a un uomo che dagli anni Settanta in poi ha firmato alcuni dei cachet più alti della televisione italiana. Le cronache ricordano che per ogni edizione di Sanremo condotta — e sono 13 — Baudo incassò circa 800.000 euro. In totale, più di 10 milioni solo dal Festival. Ma il conduttore non era solo Sanremo: Baudo era una macchina professionale, con apparizioni, serate, produzioni, consulenze e format, una capacità inesauribile di essere al centro dell’industria dell’intrattenimento. Negli anni ’90 un libro investigativo, “Pippo e il suo clan” di Emilio Randacio (Kaos edizioni), aveva stimato il patrimonio del conduttore in diverse decine di miliardi di lire.
Oggi la parte più solida della ricchezza è immobiliare. Le verifiche pubbliche più recenti indicano più di 6 milioni di euro in immobili: quattro proprietà in via della Vite a Roma, compresa la palazzina di sei piani in cui Baudo viveva fino alla fine; un ufficio da sette vani in via della Giuliana, nel quartiere Prati; e ben 17 terreni distribuiti tra Noto, Siracusa e Fiano Romano. A questi vanno aggiunte proprietà vendute nel tempo: la casa di Santa Tecla in Sicilia, ricostruita dopo che il 2 gennaio 1991 un ordigno di Cosa Nostra la distrusse; la Palazzina Borghese di Morlupo, salvata dal degrado e trasformata in studio di registrazione; la villa di Torre delle Stelle in Sardegna, acquistata con Katia Ricciarelli e ceduta definitivamente nel 2018. Un patrimonio costruito, difeso, ristrutturato e riorganizzato in quarant’anni di scalata professionale. Eppure oggi, nonostante il peso economico e simbolico, è fermo.
La tensione affettiva: ferite, fedeltà, rancori che non si spengono nemmeno dopo la morte
Nelle famiglie dello spettacolo, i rapporti non sono quasi mai lineari. Lo dimostrano le parole dell’ex moglie Katia Ricciarelli, che nei giorni successivi all’apertura del testamento aveva dichiarato: “Pippo non so neanche di cosa sia morto. Mi aspettavo un minimo di cortesia.” Il riferimento implicito, ma evidente, era a Dina Minna, l’assistente. Poi un’altra frase, che ha fatto il giro delle redazioni più della notizia in sé: “Se tutte le segretarie sono trattate così, forse ho sbagliato mestiere.” Una frase che su un’eredità qualunque sarebbe rimasta gossip. In un’eredità milionaria diventa dinamite. La replica di Minna arrivò con una diffida e un contrattacco: “Alla fine Pippo non voleva più neanche vederla.”
Chi abbia ragione è irrilevante. La domanda interessante è un’altra: come si costruisce un’eredità quando memoria, affetti e rancori si presentano alla porta contemporaneamente?
Il nodo non è chi eredita, ma cosa si eredita
La ripartizione è chiara. La volontà del conduttore non risulta contestata. E allora perché nessuno firma? Secondo esperti di successione, quando un’eredità molto ricca resta sospesa per mesi significa che sono in corso accertamenti. Non solo sul valore reale del patrimonio, ma anche sulle eventuali passività, sui contenziosi pendenti, sugli aspetti fiscali legati a società, proprietà e terreni. Un’eredità non è un assegno. È un pacchetto. Dentro ci sono beni, ma anche responsabilità. Per questo nessuno accetta prima di sapere esattamente cosa sta accettando.
Il paradosso è evidente: in vita, Baudo è stato una certezza assoluta della televisione italiana, un punto fermo, un uomo che ha attraversato decenni di costume nazionale rimanendo sempre al centro dell’inquadratura. Da morto, lascia un’immagine pubblica gloriosa e un patrimonio congelato. L’Italia lo celebra, la Rai lo omaggia, i colleghi lo ricordano. E intanto 10 milioni restano fermi sul tavolo.
In un Paese che ha trasformato le successioni delle star in un genere narrativo autonomo, l’ultimo gran finale di Pippo Baudo è questo: un patrimonio milionario, tre eredi chiamati, nessuna firma. Non chi lo amava. Non chi gli era nemico. Nemmeno chi, sulla carta, avrebbe tutto da guadagnare. Perché sulla carta è tutto chiaro. Nella realtà, no.
