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Ada Masella

Riciclo dei rifiuti elettronici: la minaccia della criminalità organizzata

L'allarme al convegno organizzato da Cobat a Bari per Panorama d'Italia: le pratiche illegali danneggiano il sistema e aggrediscono l'ambiente

C’è una miniera di risorse economiche preziose nel business della raccolta e del riciclo dei rifiuti elettronici, ma la criminalità organizzata la insidia e comprime i margini di attività industriale onesta, di occupazione sana, di business trasparente inquinando l’ambiente in misura spesso gravissima. È il grido d’allarme lanciato da Bari, nel contesto di Panorama d’Italia, dai vertici del Cobat – il Consorzio di raccolta e riciclo dei rifiuti tecnologici che è partner di Panorama d’Italia – alla tavola rotonda su “Economia Circolare in Puglia: riciclo, legalità e best practice per lo sviluppo del territorio".

Cobat: l' "Economia Circolare" in Puglia

“Il nostro vero e grave problema è quello delle pratiche illegali”, ha spiegato Claudio De Persio, direttore operativo del consorzio, che ha parlato dopo l’introduzione del presidente Giancarlo Morandi: “In particolare, il riciclaggio illecito delle batterie non soltanto danneggia il sistema perché sottrae il piombo che potrebbe essere riciclato in modo corretto, trasparente e produttivo ma aggredisce l’ambiente, perchè comporta lo sversamento nell’ambiente degli acidi contenuti nelle batterie stesse”.

Tutti sono d’accordo nel dire che “bisogna fare di più”, ha stigmatizzato De Persio, ma poi nulla cambia. “E così, oggi abbiamo una situazione che ha sul mercato effetti devastanti, con i costi della raccolta e riciclo regolamentari non coperti, una fortissima concorrenza sleale, un intenso traffico illecito di rifiuti, un’enorme evasione fiscale. Sentiamo tutti parlare della necessità di una forte diminuzione delle tasse, pensate voi se si riuscisse a evitare almeno questa evasione!”.

Come funziona il riciclo

L’occasione barese, però, è stata anche preziosa per capire come funziona il percorso del rifiuto. “Il ciclo economico dei prodotti che trattiamo è molto chiaro”, ha spiegato De Persio: “la fabbrica li immette sul mercato, il consumatore li acquista e li usa, quando si rompono li butta nei rifiuti, un’azienda di raccolta li prende, li ricicla negli appositi impianti di selezione e valorizzazione e li trasforma in materie prime seconde che tornano alle fabbriche per essere riutilizzati. I grandi produttori di rifiuti tecnologici sono dunque i consumatori, prima ancora che le fabbriche, gli artigiani, le piccole e medie imprese…”.

Questo ciclo si regge su una precisa divisione di ruoli. Il produttore o anche l’importatore di prodotti elettronici e tecnologici finanziano un sistema di raccolta versando un contributo in base ai quantitativi venduti; la rete di raccolta costituita dalle imprese consorziate nel Cobat usa il contributo per sostenere le spese di logistica e trattamento, ritira i rifiuti da riciclare presso le isole ecologiche comunali e le utenze professionali e li consegna agli impianti di trattamento. Quando tutto funziona al meglio, dalle utenze domestiche, da quelle professionali e dalle isole ecologiche i trasportatori autorizzati trasferiscono i rifiuti selezionati agli impianti di riciclo.

Cosa devono fare invece i produttori di rifiuti professionali? Rispettare delle precise procedure: utilizzare contenitori appositi per depositarvi temporaneamente i rifiuti; mantenere aggiornati i relativi registri di carico e scarico; relazionare su tutto le Camere di commercio, consegnare i rifiuti alle aziende autorizzate.

Perché è importante rispettare queste procedure

Perché l’efficienza di questo sistema – che genera pulizia ambientale e reddito per l’economia – è insidiata dalla criminalità. Il movente a delinquere è forte. Da una sola batteria automobilistica da 14 chili si ricavano 8 chili circa di piombo. Ma si inquina anche, riversando nell’ambiente oltre 3 chili di acido solforico. Le componenti ancora efficienti vengono smontate e rivendute spesso come ricambi nuovi, pur senza esserlo.

Le pratiche illecite attraversano tutta la filiera dell’abuso, dalla microdevianza sociale alle mafie. È illecito rovistare nei cassonetti alla ricerca di oggetti ancora vendibili, come fanno a volte i clochard; ma sono malavita organizzata gli stoccaggi abusivi e la raccolta in nero presso le officine.

Come riconoscere l'illegalità

Come riconoscere allora gli stoccaggi non autorizzati? Vi si possono notare più batterie di quelle testimoniate dai movimenti di cassa. I quantitativi a magazzino spesso superano i valori ammessi dal deposito temporaneo. E il contesto ambientale non rispetta le norme.

Del resto, le procedure di trattamento illecito generano scorie velenose miscelando per esempio additivi o rifiuti pericolosi ai prodotti necessari e autorizzati per il processo, determinando un rilevante pericolo ambientale. A dispetto della buona volontà delle forze dell’ordine i controlli non bastano ad arginare il fenomeno. E le ecomafie prosperano.
In questo quadro, il sistema Cobat gioca un ruolo di primo piano, grazie anche ai trent’anni di esperienza, agli accreditamenti istituzionali, ai 1200 produttori soci, ai 70 punti affiliati in tutta Italia, alle 150 mila tonnellate di rifiuti consegnati ogni anno a un network di 24 impianti di trattamento e recupero, perfettamente tracciati.

In Puglia – in particolare, ed era giusto evidenziarlo vista la sede del dibattito - operano 7 Punti Cobat e, a Corato, un impianto di trattamento. Un sistema che ogni anno smaltisce 11 mila tonnellate di batterie, 663 tonnellate tra elettrodomestici, telefonini e computer, 7 tonnellate di pneumatici. Il tutto operando in stretta e continua connessione con le Forze dell’Ordine.

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Ada Masella
Giancarlo Morandi, presidente Cobat

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Sergio Luciano