Guy Verhofstadt Alde Parlamento Europeo
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Verhofstadt e la rissa di Stato

Nel 1994 toccò a Tatarella, oggi a Conte. Ed i media, con l'opposizione, sono sempre contro le istituzioni

Sono passati vent’anni dalla morte di Pinuccio Tatarella e dunque pochi ricordano la storia di questo bonario e un po’ trasandato avvocato pugliese, politico per vocazione e missino per necessità più che per convinzione. Tatarella, pur essendo deputato di lunga data del Msi, non si definiva un fascista ma un anticomunista, e appena ne ebbe la possibilità ne dette prova. Fu lui infatti a traghettare il Movimento sociale italiano verso Alleanza nazionale, archiviando camicie nere, saluti romani e labari per puntare alla costruzione di un partito che rappresentasse una destra moderna, non più confinata fuori dall’arco costituzionale.

Tuttavia, nonostante non fosse uno squadrista ma un uomo di buon senso, quando divenne ministro e vicepremier nel primo governo Berlusconi non gli fu evitato lo sgarbo di una mancata stretta di mano. Era il 31 maggio del 1994 e Tatarella si era da poco insediato alla guida del dicastero delle Poste. A Bruxelles quella mattina era in programma una riunione del consiglio della Cee con all’ordine del giorno le nuove regole nel settore delle telecomunicazioni. Tatarella arrivò puntuale, seguito dal suo staff, ma a precederlo furono le polemiche suscitate dalle dichiarazioni di Elio Di Rupo, vice primo ministro belga, il quale in vista dell’incontro annunciò che mai avrebbe stretto la mano a un neofascista.

Figlio di immigrati italiani, Di Rupo quel giorno tenne un discorso contro la presenza in consiglio di un «membro espresso da una formazione che si proclama erede del fascismo», elencando i principi alla base della costituzione della Comunità europea, e alla fine, come promesso, evitò la stretta di mano. Da parte sua Tatarella replicò sottoscrivendo tutte le regole democratiche elencate dal collega e poi, impassibile, rivolto a Di Rupo, lo liquidò commentando che anche Mussolini aveva abolito la stretta di mano.

Se ricordo l’ironia con cui Tatarella mise fine alla polemica non è solo perché in questi giorni ricorrono i vent’anni della morte del politico missino, ma perché l’episodio dello sgarbo mi è ritornato in mente vedendo un altro belga comportarsi da maleducato nei confronti dell’Italia. Questa volta il trattamento non era riservato a un «fascista», ma a un presidente del Consiglio colpevole di rappresentare due forze politiche non gradite come Lega e Movimento Cinque Stelle. A incaricarsi di mancare di rispetto al rappresentante italiano è stato Guy Verhofstadt, presidente di un partito che alle recenti elezioni è stato dimezzato. La batosta, però, non ha fiaccato la protervia del suo rappresentante il quale, dopo aver corteggiato i Cinque stelle per rafforzare il gruppo da lui guidato in seno al Parlamento europeo, non ha esitato ad attaccare Giuseppe Conte, definendolo un burattino nelle mani di Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

Uno sgarbo istituzionale, per di più in presenza dello stesso presidente del consiglio italiano.

Insultare il rappresentante di un altro Paese non è certo né liberale né democratico, come invece dichiara di essere Guy Verhofstadt, al quale evidentemente prude di essere a fine carriera. Tuttavia non è questo il punto che intendo mettere in luce, ma piuttosto le ricadute in Italia del comportamento dell’ex primo ministro belga. A Conte, come 25 anni fa a Pinuccio Tatarella, la politica e la stampa nazionale hanno riservato lo stesso trattamento, quasi compiacendosi dell’attacco di Verhofstadt a chi in quel momento rappresentava l’Italia. Anzi qualcuno, invece di criticare il capogruppo del partito liberale europeo, si è messo a fare appunti alla replica di Conte, descrivendo un premier in imbarazzo. Così, ancora una volta, la sensazione ricavata è che l’opposizione e i media che la sostengono, invece di solidarizzare con il proprio Paese, in queste occasioni solidarizzano con chi lo insulta.

Si può non condividere nulla di ciò che fanno la Lega e i Cinque stelle e si può pure contrastare ogni loro decisione, ma con altrettanta determinazione forse si dovrebbe ribattere a chi si permette ingerenze nella vita politica del nostro Paese. Non tocca a Verhofstadt stabilire se Conte sia o non sia un burattino.

Come credete che reagirebbe il Belgio se domani, in una riunione ufficiale, un uomo politico italiano dicesse che il primo ministro belga è un pagliaccio o un incapace? Emmanuel Macron ha richiamato il proprio ambasciatore perché Luigi Di Maio ha incontrato i rappresentanti dei gilet gialli, giudicando quella del ministro del Lavoro un’interferenza negli affari interni della Francia.

E quando lo stesso Macron parlò di lebbra italiana e disse che il comportamento del nostro governo era vomitevole, di che cosa si è trattato? Soprattutto, perché giornali e opposizione non hanno reagito? Questa è la differenza fra un Paese che ha il senso dello Stato e della Patria e uno che ha il senso della rissa e usa ogni cosa, anche l’aiuto esterno, per vincerla.
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Maurizio Belpietro