I dissidenti Pd contro Renzi (e Berlusconi)
Fabio Frustaci/Ansa
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I dissidenti Pd contro Renzi (e Berlusconi)

La strenua opposizione di una ventina di senatori alle riforme a Renzi colpevole di aver vinto troppo e di aver un patto con il "nemico"

C'è stato un momento nel Partito Democratico, precisamente dopo il risultato delle scorse Europee e soprattutto delle amministrative, che tra i democratici, sia alla base che ai livelli dirigenziali, non si è fatto altro che rinfacciarsi il passato anti-renziano e tentato, in fretta e furia, di costruirsi un'improbabile verginità tutta nuova di matrice tardivamente leopoldiana.

Ci mancava solo che anche i vari D'Alema e Bersani iniziassero a definirsi loro stessi anti-dalemiani e anti-bersaniani e a citare Matteo, come ormai fanno continuamente tutti gli altri, o direttamente i vari guru, scrittori, cantanti e sceneggiatori di fiction che cita Matteo.

Molti di quelli, quasi tutti, che nemmeno un anno prima avevano convintamente sostenuto la candidatura di Gianni Cuperlo alle primarie per la segreteria nazionale del partito, pochi mesi dopo ammettevano l'errore con imbarazzo. Nel frattempo, nei circoli (quelli romani per esempio, da sempre graniticamente ortodossi), che lo avevano preferito al sindaco di Firenze, iniziava una lunga seduta di autocoscienza per capire le ragioni di una tale macroscopica mancanza di sintonia con il resto dell'elettorato e si studiavano strategie per porci rimedio (magari mettendo sulla locandina della Festa dell'Unità il chiodo di Fonzie).

In politica, si sa, ha sempre valso il motto che “ha ragione chi vince”, quindi se chi vince è Renzi, Renzi ha ragione. E' questo pare il sillogismo che ha piegato migliaia di militanti e dirigenti, a maggior ragione davanti ai risultati delle amministrative che hanno visto crollare, vedi il caso di Livorno, i candidati di centrosinistra imposti dalla cosiddetta vecchia guardia.

Così, per quelli che resistono al nuovo corso, i neo-eretici, la vita nelle sezioni e tra i banchi del Parlamento, si è fatta ormai piuttosto dura. Ma quanto potrà durare, in un partito tradizionalmente rissoso come quello Democratico, il consenso bulgaro raccolto dal premier e quanto ci vorrà perché la facciata si sgretoli?

Tra deputati e senatori, dopo la pausa dovuta alla gaffe megagalattica su “Renzi bambino autistico” dell'ex direttore di RaiNews24 che non vuole pagare il pizzo al Pd CorradinoMineo, le voci di dissenso, soprattutto in Senato, hanno riacquistato nel frattempo un po' di fiato. Ma quante sono queste voci? Parlanti (quelle che minacciano di votare contro il Senato della Autonomie) finora, meno di una ventina. Silenti probabilmente molte di più. Archiviata la bozza Chiti sulla riforma elettorale, nei giorni scorsi, sul Senato non elettivo, si è rifatto vivo, dopo lunghe settimane di silenzio, anche l'ex segretario Pier Luigi Bersani. Renzi, da parte sua, non ha fatto una piega, anzi, è andato all'attacco: “Chi è più rappresentativo? Mineo e Minzolini o un consigliere regionale?” e poi l'avvertimento alla minoranza che minaccia addirittura un referendum: “Scordatevi una gestione unitaria del partito”. Come a dire “comando io, fatevene una ragione”.

Ma come riuscirci? Come accettare di farsi dare dei sabotatori da uno che ha sabotato Enrico Letta nel giro di cinque minuti? E solo perché si cerca di condurre una battaglia per garantire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentati nelle istituzioni attraverso l'elezione diretta dei senatori e l'espressione delle preferenze?

Critiche che il vicesegretario Lorenzo Guerini ha derubricato a “intemperanze” rispetto alle quali il Pd non intende fare un passo indietro “forte dello straordinario consenso ricevuto dai cittadini”.

Uno straordinario consenso” continuamente rimarcato e diventato causa principale, per i vari Cuperlo e Bersani e per quei pezzi di partito che ancora si tirano dietro, dell'unico vero ma inconfessabile maldipancia che li tormenta. Perché se Renzi avesse vinto un po' meno, i margini di manovra per loro sarebbero stati più ampi. Invece così gli tocca ingoiare anche il rospo peggiore, quello della tenuta del patto del Nazareno, l'accordo rinnovato, anche nei giorni scorsi, tra Pd e Forza Italia, tra Renzi e il nemico per eccellenza da abbattere e nelle urne mai abbattuto, ex Cavaliere ma ancora leader del centrodestra, Silvio Berlusconi.

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Claudia Daconto