Renato Brunetta. Tu Monti, ma io ti smonto
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Renato Brunetta. Tu Monti, ma io ti smonto

Accusa il premier-candidato di proporre un programma «copia-incolla», di sbagliare (?) i dati e di fornire ricostruzioni di comodo. Renato Brunetta smentisce (con rabbia) i dati del governo.

Sembra che il destino, che come noto è cinico e baro, abbia voluto farli vivere nella stessa epoca storica solo per divertirsi. Uno figlio di venditori ambulanti veneziani, l’altro figlio del direttore generale della Cariplo. Uno ha studiato al Liceo Foscarini di Venezia, l’altro al Leone XIII, la scuola dell’alta borghesia milanese. Uno laureato a Padova, l’altro alla Bocconi. Mentre uno collaborava con i governi Craxi, Amato e Ciampi, diventava europarlamentare di Forza Italia e iniziava a litigare con Giulio Tremonti, l’altro attraversava senza bagnarsi le stagioni politiche degli ultimi 14 anni disegnandosi il profilo di perfetto «homo europaeus».

Uno socialista, sempre riformista, poi lib-lab (più lib che lab); l’altro seguace dell’economia sociale di mercato, che per gli economisti bacchettoni è una teoria politico-economica che nemmeno esiste. Uno laico, l’altro cattolico. Uno estroverso, polemista, sanguigno, l’altro (basta un solo aggettivo) algido. E, per venire ai giorni nostri, uno che sostiene che i guai italiani iniziano nel giugno 2011 in Germania, l’altro che dice che lo spread arrivato a toccare i 573 punti nel novembre del 2011 era il risultato di scelte economiche sbagliate e che se non fosse arrivato lui l’Italia sarebbe finita come la Grecia. Uno è Renato Brunetta. L’altro è Mario Monti. L’odio non è reciproco perché Monti, notoriamente, non odia.

Onorevole Brunetta, lei è stato europarlamentare quando Monti era Commissario europeo. All’epoca eravate amici…
Buoni conoscenti.

Quando tutto è cambiato?
Da quando non è più sincero. Molto spesso, in privato, negli anni passati, dimostrava di apprezzare le decisioni di politica economica del governo Berlusconi, adesso invece basa la sua legittimazione attraverso la damnatio memoriae: deve dire che l’anno scorso eravamo sull’orlo del baratro per potere dire di averci salvati. Per accreditarsi deve dimostrare che i cattivi siamo stati noi e questo io lo contesto, lo contesterò fino a quando avrò fiato in gola.

Quando il governo Berlusconi si è dimesso lo spread, cioè la differenza di rendimento tra i titoli italiani e titoli tedeschi era di 537 punti, adesso è sotto quota 290.
Ancora con lo spread? Quello spread era dovuto per 2/3 al rischio di crollo dell’euro e solo per un terzo al rischio-Paese. E come mai nessuno ha detto che eravamo sull’orlo del baratro quando a luglio di quest’anno, con Monti al governo, lo spread è arrivato a 536 punti? Come mai? Nemmeno uno si è azzardato a dirlo… L’unico fattore che ha fatto calare lo spread è la Banca centrale europea. Non ci sono altri motivi. Smettiamo di essere provinciali e pensare che tutto giri intorno all’ombelico italiano: i motivi del calo o della crescita dello spread dipendendo dai rapporti di forza di continenti, monete e banche centrali.

…ma a novembre 2011 c’era il rischio di non pagare gli stipendi pubblici.
Cosa?! Gli stipendi pubblici costano 170 miliardi di euro l’anno, il costo dello spread negli ultimi mesi del 2011 è stato inferiore ai 5. Ma quale rischio?

C’era il pericolo che non ci prestassero più i soldi necessari…
Ma via! La domanda di nostri titoli di Stato non è mai venuta meno e questo è inconfutabile. In quei mesi la Banca d’Italia disse che il debito pubblico italiano poteva reggere con rendimenti dei titoli di Stato superiori addirittura al 7 per cento ma solo un’asta di titoli pubblici, per poche decine di miliardi, ha superato il 7 per cento di rendimento, tutte le altre sono state più basse.

Lei dice che l’Italia…
Ma scusi, se l’Italia fosse stata davvero a rischio crack, allora certamente non sarebbe bastata una manovra, la SalvaItalia, da 60 miliardi per tirarla fuori dal burrone. Giusto? Noi, di manovre, ne abbiamo fatte per 260 miliardi con la differenza che noi abbiamo tagliato, Monti ha tassato.

Ma in quel momento…
Pochi giorni fa è stato ufficializzato che tra il 2008 e il 2011 i dipendenti pubblici sono scesi di 150 mila unità, e c’eravamo noi al governo. È merito nostro! Non c’è stato un cane che lo abbia detto, nemmeno un cane…

Però c’era pericolo…
Guardi, tutto nasce tra aprile e giugno del 2011 quando la Deutsche Bank vende 8 miliardi di Btp italiani sui 9 che aveva in portafoglio. È stata chiaramente un’azione ostile da parte di istituti che avevano passato malamente gli esami di solidità della Bce; che rischiavano perdite per i titoli greci e che erano pieni di titoli tossici americani. Da quel momento è iniziato tutto.

Il famoso complotto.
Non ho mai usato la parola complotto: è stato un alleggerimento di portafoglio, ma è un fatto che quella mossa è stata vissuta come ostile nei nostri confronti dal resto del mercato.

Ma qual è la ricetta di Monti?
Il copia-incolla delle tesi di Pietro Ichino e delle proposte di Matteo Renzi. Il risultato è pochezza progettuale e corbellerie pratiche che un qualsiasi studente di economia potrebbe tranquillamente smontare. Ma non lo fa nessuno, in Italia. Siccome è il «salvatore» si può permettere di dire qualsiasi cosa e nessuno si permette di contraddirlo. Ma quale salvatore…

È sostenibile l’abolizione dell’Imu?
Sulla prima casa sì, vale 4 miliardi. E lo ha proposto perfino Stefano Fassina del Pd. E poi sentire Monti che dice che se si taglia poi bisogna rimetterla raddoppiata un anno dopo… ma dai! Noi abbiamo tolto tutta l’Imu rinunciando a 1,6 miliardi di entrate. Un miliardo e 600 milioni che secondo Monti avrebbero scassato i conti pubblici. Ma via!

Se tutto procede secondo previsioni nel 2015 dovremo pagare 105,3 miliardi di interessi sul debito e 45 miliardi per rispettare l’impegno di ridurre il debito pubblico. Come faremo?
Nessuno spiega che l’articolo 81 della Costituzione, riformato con il governo Berlusconi, prevede che si tenga conto dell’andamento della congiuntura economica. Significa che in anni di recessione il nostro impegno non sarà di 45 miliardi. Se poi la crescita si attestasse intorno al 2 per cento, il debito pubblico può ridursi di fatto da solo, grazie all’avanzo di bilancio anno su anno.

E Tremonti…
Ma se la gestione del debito era così disastrosa, come mai la tecnocrazia del ministero del Tesoro non è cambiata? Non solo il braccio destro di Tremonti è diventato ministro, ma i direttori generali, il capo dell’ufficio legislativo, il capo di gabinetto e il ragioniere generale dello Stato sono gli stessi di prima.

Facciamo un’ipotesi: lei e Monti siete in una stanza chiusa. Solo voi due e nessun altro. Ha 5 secondi a disposizione per dirgli tutto ciò che vuole. Che cosa gli dice?
Mario, di’ la verità. Di’ che l’Italia è stata vittima di un’enorme speculazione finanziaria, dì che il suo governo legittimo, a causa di difficoltà parlamentari, non è riuscito a reagire come le circostanze avrebbero imposto e che, per questo, è stato utile un governo di larghe intese, che prendesse decisioni specifiche…

Avevo detto 5 secondi…

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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