Con la Fondazione Open chiude anche la prima era Renzi
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Con la Fondazione Open chiude anche la prima era Renzi

Nata per finanziare la Leopolda, ha lanciato una nuova generazione politica. Ma oggi la sua funzione è esaurita

Open chiude i battenti. L’indiscrezione secondo la quale la fondazione renziana che in questi anni ha finanziato la Leopolda sarebbe prossima alla chiusura è stata lanciata questa mattina dalle colonne de Il Corriere della Sera.

Nasce nel 2012 come Bing Bang e un fondo di 20mila euro, per poi trasformarsi nel 2013 in Open. Nel suo consiglio direttivo siedono Alberto Bianchi (Presidente e avvocato dell’ex premier), Maria Elena Boschi (Segretario generale), il fedelissimo Marco Carrai e Luca Lotti. Open è quindi la cassaforte del Giglio Magico e in questi anni è servita a raccogliere le donazioni di imprenditori e finanzieri che volevano sbarazzarsi della vecchia politica, lanciando un gruppo di giovani toscani.

La fondazione dei fedelissimi

Secondo le indiscrezioni sarebbero passati per le sue casse circa 6 milioni di euro, serviti per organizzare tutte le edizioni della Leopolda, la kermesse fiorentina di Matteo Renzi. Nel 2016, anno del referendum costituzionale, le donazioni a Open sono state di quasi 2 milioni di euro, di cui 38 sopra i 10mila euro mentre con le piccolissime donazioni tramite paypal sono stati raccolti appena 5 mila euro.

I numeri sono utili a capire chi erano gli interlocutori di questi tredici anni di scalata politica di un gruppo di dirigenti locali che ha conquistato Palazzo Chigi.

Perchè si chiude un ciclo

Dopo la batosta referendaria del 2016 è iniziata la parabola discendente di Matteo Renzi, fino alle dimissioni del 5 marzo, quando di fronte alla perdita di 22 punti percentuali di elettorato non ha potuto che mollare la presa del partito.

Probabilmente la Leopolda non si farà più, ma è anche naturale che sia così. Era nata con un format giovane per proporre un’altra maniera di discutere di politica. La prima manifestazione rigorosamente senza bandiere dove i padroni di casa Matteo Renzi e Maria Elena Boschi erano i leader indiscussi di una nuova classe dirigente pronta a prendersi Roma, senza dimenticare che l’epicentro della rottamazione passava da Firenze.

Già con l’ascesa al governo il rito dei rottamatori si era fatto più stanco. Quello che era nato per essere il luogo del confronto aperto si era ingessato al cerimoniale di governo, con toni più pacati e privo di spontaneità. La chiusura della fondazione segna un po’ anche la chiusura di un ciclo. Una generazione politica che come una meteora dopo aver toccato il punto più alto del cielo ha iniziato la sua discesa, arrivando al capolinea.

Perché se la missione iniziale era quella di dare risalto a Renzi, Boschi, Lotti e Bonifazi, oggi l’esigenza è quella di sopravvivere a questo vento contrario che soffia da un po’ sul Giglio magico.

D’altronde di fronte ai 31 anni di Luigi Di Maio, Matteo Renzi non sembra più così giovane e qualcuno sogna per lui una rapida rottamazione. Anticamera di cosa, ancora non si sa.

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Sara Dellabella