Padoan e la tentazione di mollare
ANSA/ANGELO CARCONI
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Padoan e la tentazione di mollare

Il ministro dell'economia pronto a lasciare l'esecutivo; troppe divergenze con Renzi (di programma e caratteriali)

Per quello che doveva essere il gran regista della politica economica, il ministro Pier Carlo Padoan, la permanenza nel governo Renzi sta diventando un calvario. Ormai lo ha confessato anche in famiglia con toni melodrammatici: «Sto infangando una onorata carriera costruita con serietà in trent’anni. Ho una gran voglia di mollare». Già, l’uomo ha i nervi tesi: cinque mesi con un personaggio esigente e al tempo stesso superficiale come il premier lo hanno messo a dura prova.

Padoan ha predicato per mesi prudenza al suo principale, gli ha spiegato che l’economia e la finanza non sono come la politica, pretendono fatti e non parole, esigono il mantenimento delle promesse per dare fiducia, ma non c’è stato nulla da fare.

Sulla storia degli 80 euro, cavallo di battaglia della campagna elettorale di Renzi e corona di spine di Padoan, di fatto si è consumato tra i due un vero e proprio divorzio. Ma nessuno ha voluto annunciarlo in società: Renzi ha preferito che si manifestasse nel tempo; Padoan, invece, ha sperato che il premier avrebbe cambiato approccio nei mesi seguenti e inoltre è stato costretto a portare pazienza per le insistenze del Quirinale che lo ha costretto a rimanere al suo posto. Ma il tempo non gli ha portato conforto e ora i nodi stanno arrivando al pettine.

La situazione economica si sta facendo sempre più difficile. Il Pil non decolla ma regredisce. Draghi reclama riforme. L’Europa pure. E, invece, Renzi si trastulla con la riforma del Senato che alla Ue come ai mercati – come testimoniano ilWall Street Journale ilFinancial Times– interessa poco e niente. Così Padoan ha in mente di cimentarsi sulla legge di stabilità, resistere fino alla fine del semestre europeo e poi mollare. E il premier?

Al solito se ne infischia. Dotato di una buona dose di arroganza fa spallucce a Padoan, come le fa a Bruxelles e a Draghi. Un atteggiamento che sta diventando sempre più pericoloso. Dovrebbe riformare profondamente il fisco e il mercato del lavoro. Ma, invece di passare dalle parole ai fatti, si rifugia nei proclami, conscio che non ha la maggioranza adatta per imporre quella rivoluzione liberale di cui il Paese avrebbe bisogno. Appunto, il problema è che Renzi la pensa in un modo, ma il suo partito è un’altra cosa. Così le sue intenzioni si perdono nell’aria. Certo ci sarebbe la possibilità di mettere in piedi un programma con il Cavaliere, che sarebbe pronto a farlo. Ma un atto di coraggio come quello di affrontare un autunno caldo a braccetto con Berlusconi e in guerra con il sindacato, non è roba da Renzi. Ci vorrebbe ben altro piglio, ben altro carattere di quello richiesto per riformare il Senato. «Io un governo con Berlusconi» ha confessato il premier al suo inner circle «non me lo posso permettere: mi ricorderebbero quello che ho detto contro il governo Letta e per me sarebbe la fine».

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Keyser Soze