Mps-Pd e le 'favole' di Bersani (e Monti)
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Mps-Pd e le 'favole' di Bersani (e Monti)

Per favore, non raccontateci storielle sul caos Monte Paschi, soprattutto in questo periodo

Ma ci pensate? Pier Luigi Bersani candidamente sostiene che nella vicenda del Monte dei Paschi la politica non c’entra nulla. Non lo può dire, per la semplice ragione che il MPS è controllato dalla sua Fondazione e 8 dei 16 vertici della Fondazione sono direttamente scelti dal sindaco di Siena e altri 5 dal presidente della Provincia, quindi 13 su 16 sono espressione del partito che pur cambiando nome ha sempre governato Comune e Provincia (indovinate quale).

L’osmosi tra la Banca, la Fondazione e Pd, ex Ds, Pds, Pci è un caso, o un’anomalia secondo i punti di vista, unico in Italia per la sua enormità. Il rapporto tra potere e gestione del potere, tra Banca e Città, laddove la città di Siena s’identifica col Partito, smentisce clamorosamente anche l’affermazione paradossale di Bersani per cui “il partito fa il partito, la banca fa la banca” (i sindaci son diventati banchieri, i banchieri sindaci): suonerebbe come uno scherzo o una presa per i fondelli, se non fosse che Bersani è (o era) persona seria. “Ma mi faccia il piacere!”, direbbe Totò.

La rete banco-clientelare attorno al MPS fa sì che non solo il Pd, ma altri leader e partiti siano in imbarazzo per lo scandalo senese. Berlusconi ha riconosciuto una tenerezza personale verso il Monte in quanto istituto che ha accompagnato la nascita del suo impero imprenditoriale. Il Pdl però, in generale, non ha remore ad accusare Bersani di fare il “marziano” e quindi sottolineare la gravità dello scandalo.

L’imbarazzo maggiore è (dovrebbe essere) di Bersani, ma anche il Professore non dovrebbe essere da meno quanto a atteggiamenti di favore verso il Monte Paschi. Monti la spara grossa quando sostiene che non c’è rapporto tra i 3.9 miliardi di prestito al Monte e l’ammontare (scusate il triplo gioco di parole) dell’Imu sulla casa che colpisce i proprietari indipendentemente dalla loro capacità di spesa (non salva i pensionati né le famiglie, e non fa distinzione tra chi ha ereditato e chi sta pagando un mutuo). Il confronto è nei fatti: si tratta pur sempre di quasi 4 miliardi che lo Stato sborsa da un lato, anche se sotto forma di prestito, mentre dall’altro li sottrae ai cittadini e alle imprese. E lo fa nel momento di massima difficoltà del paese.

Invece di destinare quei soldi ai prestiti alle aziende (come Tremonti che ne aveva fatto condizione per accedere ai Tremonti bond), quei quasi 4 miliardi di ossigeno infusi dal governo non hanno specifiche. Servono a salvare una banca privata e solo quella a dispetto di una gestione fallimentare conclamata. Facile osservare: il governo Monti trova i soldi per aiutare la Banca vicina al Pd, ma non li trova per dare una soluzione radicale al dramma degli esodati.

Ci sono altre ipocrisie, nella vicenda. Difficile pensare, per esempio, che la Banca d’Italia sia stata semplicemente ingannata dal MPS. Troppe grandi operazioni (come la catastrofica acquisizione della Banca Antonveneta) sono avvenute sotto gli occhi dei controllori. E fa impressione lo scarico di responsabilità fra Tesoro e Bankitalia, come tra politici di riferimento di una cordata e dell’altra. D’Alema, Amato e Bassanini, per esempio, in lite tra loro per la mancata partecipazione del MPS all’affaire Unipol-Fassino. Colpisce pure che si sia scatenato un conflitto fratricida nel Pd con Renzi che non si trattiene dal dare un giudizio opposto rispetto a quello troppo disinvolto di Bersani-Alice nel paese delle meraviglie che nulla vede, nulla sente, nulla dice. Sostiene infatti Renzi, a differenza di Bersani, che nel Monte Story la “cattiva politica” c’entra eccome.

I dividendi politici maggiori se li spartiranno i leader dei partiti meno o  per nulla coinvolti nello scandalo: il Pdl e ancor di più Grillo e Giannino, che decidono infatti di partecipare all’assemblea degli azionisti.

Però è grave, a ripensarci, che un uomo che si candida a guidare l’Italia e a rappresentarla nel mondo abbia la spudoratezza di contarci favole come se fossimo bambini. Di certo, Bersani pagherà elettoralmente la presunzione di considerarci immaturi e un po’ cretini.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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