C'è tanta Turchia in casa nostra
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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C'è tanta Turchia in casa nostra

Matteo Renzi si batte per la difesa della libertà di stampa a Istanbul, ma in Italia i giornalisti possono finire in galera per le loro opinioni

È bello sapere che il nostro presidente del Consiglio si batte come un leone per la libertà di stampa. È motivo di orgoglio sapere che a Bruxelles ha posto con forza, come pre-condizione per concedere alla Turchia gli aiuti per i migranti, il rispetto della libertà di espressione. Giustissimamente Matteo Renzi ha affermato che "la libertà di stampa è un valore fondamentale dell'Europa" e che è inaccettabile che il governo turco abbia ridotto al silenzio l'unico quotidiano di opposizione. Sono ragionamenti nobili. Si dà però il caso che noi la Turchia ce l'abbiamo in casa, che i giornalisti italiani non allineati vivano sotto lo spregevole ricatto di finire in carcere per le loro idee o per avere consentito ad altri di esprimerle. Siamo la vergogna d'Europa, caro Renzi. E lei lo sa.

Lo Stato italiano continua ad accumulare condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per la spaventosa repressione nei confronti della stampa, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa non ha più inchiostro per invitare l'Italia ad allinearsi alla civiltà (sic) e consentire ai giornalisti di poter fare il loro mestiere. La classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa nel 2015 ci vede al 74esimo posto su 180 Paesi: rispetto all'anno precedente abbiamo fatto un bel passo indietro di 24 posizioni. Pensate: ci danno lezioni di libertà la Romania, il Ghana, il Burkina Faso. Giusto sotto di noi ci sono la Tanzania o il Nicaragua.

Il premier che ai tavoli dell'Unione europea si riempie la bocca di valori alti consente che in Italia il suo governo tolleri la pena del carcere per i giornalisti o che i cronisti vivano sotto la scure di risarcimenti mostruosi specie se osano criticare anche solo velatamente magistrati (che vengono risarciti con sentenze emesse da loro colleghi!). Ma c'è di più. L'esecutivo non muove un muscolo per sollecitare l'approvazione di una legge che cancella il carcere per i giornalisti: il testo fa la spola oramai da tre anni tra Camerae Senato in un ignobile rimpallo destinatoa prolungarsi chissà per quanto. Nel frattempo viene relegato al rango di simpatica trovata goliardica il tiro al bersaglio all'ultima convention del premier controi giornali sgraditi; scivolano via come acqua le intemerate controi talk-show che osano mettersi di traverso rispetto alla narrazione renziana; si procede alla normalizzazione dell'informazione in Rai senza neppure impegnarsi troppo, vista la predisposizione dei padroncini della casa a farsi concavie convessi. E giusto che ci siamo, a proposito di pluralismo, metteteci pure l'ultimo "colpo grosso" di Renzi dopo l'accordo tra Repubblica-Espresso e La Stampa-Secolo XIX che gli porta in dote anche una corazzata informativa di 21 quotidiani locali.

A restare fuori dal coro siamo rimasti davvero in pochi: siamo liberi e impermeabili, come Renzi sa bene, agli inviti più o meno garbati di piantarla di seminare grane sul suo cammino. Il peggio che ci può capitare, grazie all'insolenza del premier, è finire in carcere o agli arresti domiciliari: chi scrive trascina quotidianamente la palla al piede di due condanne in primo grado a complessivi 16 mesi di reclusione senza condizionale, e non per aver scritto qualcosa di offensivo ma per "omesso controllo" in qualità di direttore. Insomma, pago per aver difeso la libertà di altri di esprimere la propria opinione. Cose turche, appunto.

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Giorgio Mulè