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La dignità di Contrada; i dubbi di una condanna

Ci sono memorie e ricordi scomodi che ci affrettiamo a confinare negli archivi dell’oblio. Sono, generalmente, quelli che ci hanno provocato indignazione, sofferenza, o per i quali abbiamo tracciato un giudizio definitivo. Un giudizio spesso non frutto di conoscenze e …Leggi tutto

Ci sono memorie e ricordi scomodi che ci affrettiamo a confinare negli archivi dell’oblio. Sono, generalmente, quelli che ci hanno provocato indignazione, sofferenza, o per i quali abbiamo tracciato un giudizio definitivo. Un giudizio spesso non frutto di conoscenze e riflessioni personali ma piuttosto iscritti ad una frettolosa omologazione al pensiero dominante, alla lettura di fatti e circostanze che altri hanno pensato e tracciato per noi.
La vicenda giudiziaria ma, ancor prima, umana di Bruno Contrada e’ tra questi.
Ho letto con attenzione il libro al quale l’oramai ottantenne ex Dirigente generale della polizia di stato ha affidato la sua convinta e, a tratti orgogliosa, rilettura di 20 anni di un percorso processuale contorto costellato di interrogativi aperti. Diversi gradi di giudizio, condanne, assoluzioni e ancora condanne diluiti in un tempo infinito per la vita di un solo uomo non offrono una chiave interpretativa univoca ma, anzi, aprono spazi sterminati al dubbio, all’incertezza, all’interrogativo che ognuno dovrebbe porsi prima di emettere un verdetto definitivo, sia esso proclamato in un’aula di giustizia piuttosto che nel profondo di una coscienza: puo’ l’imputato essere ritenuto colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio?”
Nel caso di Bruno Contrada l’impressione che se ne trae e’ che questo limite di assolutezza non sia stato oltrepassato affatto e che, anzi, esista un orizzonte di non detto e non scritto che forse, un domani, la storia si incarichera’ di scandagliare e riscrivere.
Cio’ che, invece, appare netto e’ l’ultimo tentativo di un uomo giunto quasi alla fine dei suoi anni di vedersi restituito l’onore perduto, il senso di una vita, il rispetto delle persone e che intuisce che, in fondo, potra’ solo riavere la dignita’ intima e silenziosa che per uomo dello Stato e’ dettata dalla coscienza di se e della propria solitudine.

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