Gwoza, Nigeria
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Isis e jihadisti: la guerra si sposta in Africa

Nella fascia del Sahel, povera e mal governata, pullula ancora la brutale ideologia del Califatto. Ecco perché e cosa rischia l'Occidente

Che fine ha fatto l'Isis? Dopo aver terrorizzato le estati europee 2016 e 2017, da Nizza a Barcellona, il Califfato islamico è uscito sconfitto da Siria e Iraq. Ma mentre gli statunitensi e i loro alleati dopo averlo schiacciato se ne stanno tornando a casa, la brutale idelogia dell'Isis non è morta. Trova anzi terreno fertile in Africa, nel Sahel, la fascia sub-sahariana che va dal deserto alla savana, dall'Alantico al Mar Rosso.

Ecco perché l'Isis ha spostato la sua guerra in Africa, i numeri delle stragi, i gruppi jihadisti presenti, le cause della presenza e le mosse false che l'Occidente deve evitare. 

I gruppi jihadisti presenti nel Sahel

C'è un gran mix di gruppi jihadisti nel Sahel. La maggior parte di questi hanno giurato fedeltà all'Isis o ad al-Qaida e sono estremamente sanguinari. In Somalia c'è al-Shabaab, autore di due attentati nell'ultima settimana; in Nigeria c'è Boko Haram con le sue fazioni, che prospera nelle paludi del Lago Chad; in Mali c'è Jama'at Nasr al-Islam wal Muslimin.

Ogni gruppo condivide alcuni tratti ideologici ma può anche avere delle rivendicazioni locali. Sono tutti molto sanguinari e, come scrive l'Economist, più numerosi dei loro colleghi iracheni o siriani: la Provincia dello Stato Islamico dell'Africa Occidentale (Iswap), gruppo jihadista nigeriano allineato con l'Isis, costola di Boko Haram, ha circa 3.500 combattenti, probabilmente più di quanti ne abbia ora l'Isis in Iraq e in Siria.

Il caos in Libia conseguente alla caduta di Gheddafi nel 2011 li ha rafforzati: le armi arrivano dalla Libia, i soldi dal traffico di persone, droghe e checchesia attraverso il Sahara. 

I numeri delle stragi

I jihadisti in Africa sono più letali dei loro compagni iracheni. Anche se in Occidente pochi ne parlano, nel 2017 hanno ucciso circa 10 mila persone, per lo più civili, contro i circa duemila morti civili in Iraq e Siria. 

Tra il 2010 e il 2017 il numero di episodi di violenza che coinvolgono gruppi jihadisti in Africa è aumentato di oltre il 300%.

La guerra che l'Occidente non può perdere

La guerra in corso contro i jihadisti ha attirato truppe dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dalla Germania, ma anche i resti dell'Isis. Diversi e distanti i campi di battaglia aperti, da Dakar, in Senegal, a Mogadiscio in Somalia.

La vittoria però sembra in mano ai jihadisti: secondo il Centro per gli Studi strategici dell'Africa, negli ultimi 7 anni il numero di Paesi africani coinvolti dalle attività dei militanti è più che raddoppiato e si attesta a 12.

I francesi, con l'opération Barkhane, stanno impiegando 4.500 soldati. Gli Stati Uniti ne hanno circa 6.000. Le truppe occidentali sono fondamentali soprattutto nell'addestramento degli eserciti africani e nel fornire intelligence. Dalla morte di quattro soldati americani in Niger nell'ottobre scorso, però, alle truppe Usa è stato ordinato di assumersi meno rischi. Si prefigura anche un possibile taglio fino al 50% del numero di forze speciali assegnate alla regione. 

La minaccia che il Sahel pone agli interessi occidentali è ancora limitata, ma sta crescendo. Jihadisti collegati ad al-Qaeda e all'Isis hanno attaccato le ambasciate occidentali, gli hotel e strutture petrolifere nel Sahel. E anche in Europa sono già arrivati i suoi tentacoli: l'attentato del 2017 al concerto di Ariana Grande a Manchester era collegato alla Libia.

Sarebbe più facile fermare oggi la caduta del Sahel, che rimetterlo in piedi un domani.

Il fronte caldo: la Nigeria e Boko Haram

La più importante delle battaglie si svolge in Nigeria contro Boko Haram. Se la "ricca" Nigeria - il Paese più popoloso d'Africa e l'economia principale - cade nelle mani dei jihadisti, figurarsi quale destino possono avere i Paesi più poveri. 

Boko Haram è un gruppo jihadista così feroce e brutale da far impallidire persino l'Isis, con cui si è alleato nel 2015, cambiando il suo nome in Provincia dello Stato Islamico dell'Africa Occidentale (Iswap). 
Ucciso il suo fondatore Ustaz Mohammed Yusuf nel 2009 dal governo nigeriano, la guida è stata assunta da Abubakar Shekau. Nel 2016 il gruppo si è diviso in due fazioni e ora è Abu Musab al-Barnawi il leader di Iswap.

Nel 2014 Boko Haram si è reso cupamente famoso con il rapimento di oltre 300 studentesse in una scuola di Chibok, nel nord-est del Paese.

Diversamente dall'Isis, che in Siria e in Iraq istituì amministrazioni civili e provò a governare, Boko Haram ha preferito il caos e la violenza sfrenata.

Ha bombardato moschee e mercati, ha massacrato gli abitanti dei villaggi, ha rapito donne e bambini, ha ridotto ragazze in schiavitù e le ha vendute, ha costretto civili a immolarsi come bombe umane. 
Uno studio del Combating Terrorism Centre di West Point ha rilevato che oltre la metà delle 434 bombe umane utilizzate tra aprile 2011 e giugno 2017 erano donne. 

La causa? Il malgoverno

Il Sahel è una fascia di territorio arida e scarsamente popolata, povera e mal governata. Una polveriera. Alcuni Paesi come la Somalia o la Repubblica Centrafricana, uno dei paesi più poveri della Terra, non conoscono la pace da decenni.

È proprio il fronte caldissimo della Nigeria l'esempio di come il malgoverno apra la strada all'Isis e derivati, generando nuovi seguaci. 

Grazie anche all'aiuto di una forza multinazionale costituita dalle truppe di Stati vicini come Ciad, Niger e Camerun, l'esercito nigeriano ora controlla Maiduguri, la città nordnigeriana in cui è nato Boko Haram, e le città principali. Gli insorti dominano la campagna e i villaggi.

Appellandosi alla necessità di allontanare i civili dai combattimenti per proteggerli e negare cibo e rifugio ai jihadisti, l'esercito ha sradicato i residenti dalle campagne, ha bruciato i loro villaggi e li ha sistemati in squallidi accampamenti a Maiduguri e in altre città. Circa 2,4 milioni di persone sono state sfollate in Nigeria e nei Paesi limitrofi.
Un passo falso pericoloso. 

Secondo gli osservatori internazionali, l'uccisione indiscriminata da parte dell'esercito e questo sradicamento forzato alimentano l'insurrezione. Il malgoverno, una volta di più, sarà una fabbrica di jihadisti.


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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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