Antonio Ingroia, magistrato-politico
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Antonio Ingroia, magistrato-politico

La (quasi certa) discesa in campo del pm di Palermo è una brutta pagina per la giustizia, anzi, per il paese

Ma sì, Antonio Ingroia ha fatto bene. Ha fatto quello che doveva fare. Che sentiva di dover fare. Che tutti sapevamo che avrebbe fatto. Ha corrisposto alla propria indole, formazione e vocazione. L’unica e vera: fare politica. Non più combattere la mafia, ma attraverso la ribalta giudiziaria arrivare (se confermerà la decisione di candidarsi) fino in Parlamento ad arringare contro l’avversario, quel nemico che ha il volto di ex democristiani e nuovi azzurri. E non potendo incalzarlo ulteriormente nelle aule di tribunale, in un susseguirsi d’inchieste che sono solo una grottesca imitazione di quelle che hanno portato Falcone e Borsellino sottoterra e i loro epigoni a Palazzo, Ingroia dev’essersi convinto che è meglio battere altre aule. Per esempio, l’aula di Montecitorio.

Adesso finalmente sappiamo quali sono le vere commistioni tra mafia e politica, cioè tra lotta alla mafia e lotta politica. L’una serve all’altra. Commistioni nel senso di mescolanza, mistione, miscela, mescita fra le due. Sia chiaro: non che Ingroia sia mafioso, certo che no. Non c’è una commistione in termini legali. Ma nel senso che il pm anti-mafia diventa il politico anti-centrodestra, il “sinistro” alfiere e beneficiario di una lunga e inconcludente campagna politico-mediatico-giudiziaria condotta attraverso carte da bollo e milioni di pagine d’indagini che si trasformano in veline giornalistiche. Campagna che travalica i tribunali, dilaga nelle piazze, nei teatri, si nutre di conflitti con le istituzioni (dal Parlamento al Quirinale, dalla Corte Costituzionale allo stesso Csm, il Consiglio superiore della magistratura) e naturalmente di sovraesposizione in tv. Altro che Servizio Pubblico... Altro che “toga party”. Qui siamo al “toga power”…

L’ultimo smascheramento è stato l’anatema dal Guatemala su Forza Italia, sulla sua genesi mafiosa, un insulto a quanti hanno contribuito a creare un programma liberale (poi non realizzato e forse tradito, ma ineccepibile e tuttora attuale) e prima ancora quell’accensione di riflettori sulla presunta trattativa tra politici, uomini di governo e eroici ufficiali dei carabinieri da un lato, boss dall’altro, che non ha risparmiato le intercettazioni al Capo dello Stato. Ora però il sospetto di una contaminazione politica dell’azione giudiziaria alla Procura di Palermo diventa più che legittimo.

Ingroia ha chiesto al Csm l’aspettativa “per motivi elettorali”, senza alcun periodo intermedio di astinenza dalla militanza politico-giudiziaria se non questa trasferta di un mese e mezzo in Guatemala per le Nazioni Unite. E non si sa se l’Onu a questo punto sia stato più danneggiato dalla rinuncia di un magistrato alla lotta al narcotraffico, o graziato dalla sua decisione che lascia libera la posizione per la scelta di funzionari più leali e coerenti rispetto a un impegno preso e a una missione importante. Per l’Italia, non proprio una bella figura.

Nessuna camera di compensazione e decantazione guatemalteca o italiota fra l’attività di magistrato e le acrobazie politiche romane. Ingroia lancerà questo venerdì il manifesto degli arancioni “Io ci sto”, di cui è il primo firmatario, e si unirà così all’altro ex Pm e oggi sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, forse ad Antonio Di Pietro (quello di Mani Pulite e delle proprietà immobiliari) e al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ex Italia dei Valori (nonché ex Rete, ex dc, etc. etc.) che di Falcone fu, già primo cittadino, feroce accusatore. Ingroia è ancora formalmente magistrato ma ha già un suo ufficio stampa e ha sfornato il primo comunicato per dire che non ha deciso se candidarsi (affetto pure lui dalla sindrome Berlusconi-Monti?). La richiesta di aspettativa al Csm è solo “cautelativa”.

Le dimissioni mettono fine ai privilegi, per quello si può aspettare.

Più che gettare la maschera, Ingroia la esibisce senza vergogna. Scrive e si fa intervistare dai quotidiani, partecipa a convegni politici tutti di sinistra, scorrazza tra le televisioni, ha un suo blog. Con il Fatto quotidiano, poi, ha un rapporto simbiotico (specie con Marco Travaglio). Ma quando trova il tempo di lavorare? Ora si schiera apertamente, ennesimo pm che si getta nell’agone politico. Lo fa dopo essersi tanto esercitato. Lo fa da magistrato ancora non in aspettativa (finché il Csm non deciderà se accogliere la sua richiesta). E tutti noi paghiamo con le tasse il suo lauto stipendio e i suoi privilegi da aggiunto. Fa il politico essendo magistrato, lo fa con i nostri denari. Fosse solo per un giorno, permettete che mi dia fastidio. Nessuna censura reale, finora, dal Csm. Che, si sa, è un’associazione corporativa a difesa delle toghe, rosse e no. Presto si perderà nella coscienza comune la sensibilità per sgarbi e offese istituzionali, e la residua fiducia degl’italiani in una magistratura che non risponde mai dei propri errori ma non smette mai di compierli (in modo sempre più spavaldo) e intanto cambia la storia di questo paese, lo indirizza, lo avvelena.
Per sfuggire ai “votantonio” (Ingroia), non ci resta che emigrare tutti in Guatemala.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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