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Cosa sappiamo della «grande scossa» ai Campi Flegrei

Mentre tra le gente del posot cresce la paura un esperto di vulcanologia ci spiega cosa sta succedendo nell'area e cosa potrebbe succedere

Nei Campi Flegrei torna la paura dopo la scossa di magnitudo 4.0 che nella notte ha colpito l'area ed è stata la più violenta degli ultimi 40 anni. Scosse che fanno temere per l'evento devastante, la scossa che potrebbe distruggere tutta la zona.

«I Campi Flegrei sono la zona con il più alto rischio vulcanico al mondo ma non può produrre terremoti devastanti ma di certo può causare ingenti danni agli edifici e alla popolazione»- commenta Giuseppe De Natale Dirigente di Ricerca INGV

Quali sono le criticità dei Campi Flegrei?

«Innanzitutto devo specificare che quanto dirò non riflette necessariamente la posizione ufficiale del mio Istituto. Parlo esclusivamente sulla base della mia esperienza scientifica, maturata in 40 anni di studi vulcanologici in particolare focalizzati sulle aree vulcaniche napoletane. I Campi Flegrei sono un’area vulcanica attiva, tecnicamente una caldera di collasso, ossia un’area sprofondata a seguito di una grande eruzione. Le eruzioni che formano le caldere sono molto più devastanti delle eruzioni maggiori di vulcani come il Vesuvio: possono eruttare volumi di magma da alcune decine a migliaia di volte maggiori di eruzioni come quella del 79 DC. In ogni caso, anche qui come in qualsiasi altra area vulcanica, le eruzioni di piccola taglia sono molto più probabili delle eruzioni maggiori. In queste aree, avvengono episodi macroscopici di abbassamento e sollevamento del suolo».

Cosa può dirci dello sciame sismico dei campi Flegrei degli ultimi giorni?

«Come già detto, la sismicità aumenta all’aumentare della pressione interna, e quindi del sollevamento. La fase di sollevamento attuale è iniziata nel 2006, e da allora il suolo del Rione Terra si è sollevato di circa 1.10 metri, e la sismicità è progressivamente aumentata, sia in numero che in magnitudo. Nel 2018, ossia quando la sismicità era ancora ad un livello molto più basso di oggi, avvisai personalmente le Istituzioni preposte che, in base ai nostri studi, perdurando il sollevamento del suolo la sismicità avrebbe raggiunto e superato i livelli attuali. Sebbene questa sismicità non possa raggiungere livelli di magnitudo molto elevati, si pensa che possa produrre terremoti fino a magnitudo 5. Terremoti di magnitudo 4.5-5.0 a 3 km di profondità possono danneggiare gravemente gli edifici più prossimi. E’ chiaro che, se continua il sollevamento del suolo, la sismicità può solo aumentare: il 7/9/2023 è stata raggiunta la magnitudo di 3.8, e questa potrà aumentare ancora così come aumenterà la frequenza dei terremoti».

Siamo alla vigilia della scossa devastante nell'area?

«Quest’area, come ho detto, non può produrre terremoti devastanti, perché non ci sono grandi faglie tettoniche. Però, anche terremoti di magnitudo da 4 a 5 possono causare gravi danni, o anche far completamente collassare, edifici molto prossimi che non siano in perfetto stato. Sono necessarie verifiche a tappeto della vulnerabilità degli edifici, specialmente nell’area di Agnano-Solfatara dove si generano i terremoti più forti. Bisognava iniziare anni fa, ci sarebbe stato anche il tempo di consolidare gli edifici più vulnerabili. Comunque, prima si comincia meglio è».

In passato ci sono state altre scosse?

«Ai Campi Flegrei, l’unico episodio certo di grande sollevamento del suolo in epoca storica, a partire dall’epoca Romana, è quello che, iniziato a metà del XV secolo, è culminato con l’eruzione di Monte Nuovo, nel 1538, unica eruzione in epoca storica. Dopo il 1538, è ricominciato l’abbassamento del suolo, ad un tasso medio di 1.5-2-0 cm/anno. In epoca recente, a partire dal 1950, ci sono stati quattro episodi di intenso sollevamento del suolo: 1950-1951, 1969-1972, 1982-1984, 2006-oggi (quello tuttora in corso). Gli ultimi tre episodi sono caratterizzati anche da intensa sismicità. Nel 1970, fu evacuata la zona del Rione Terra (3000 persone), insediamento abitativo più prossimo alla zona di massima deformazione, che è sempre stata il porto di Pozzuoli. Nel 1984, a fronte di intensa sismicità estremamente superficiale (1-3 km), con magnitudo massima di 4.0-4.2, e tassi di sollevamento del suolo prossimi ad 1 m/anno, fu evacuata l’intera città di Pozzuoli (40000 abitanti), delocalizzata nel sito appositamente urbanizzato di Monteruscello. Dal 1950 ad oggi il suolo si è sollevato, nel punto massimo, di circa 4 metri. Il sollevamento del suolo riflette l’aumento di pressione interna del sistema, a profondità tra 0 e 3 km circa; questa pressione fa sollevare la superficie del suolo e spacca le rocce, causando i terremoti. Maggiore è la pressione interna, maggiore il sollevamento, maggiore la sismicità: sia in frequenza di terremoti che in magnitudo massima. Oggi i rischi maggiori a fronte di un aumento di pressione interna che ha superato i livelli massimi del 1984, sono i terremoti, che nonostante abbiano magnitudo non eccessiva sono estremamente superficiali e quindi impattano fortemente sugli edifici più prossimi, e la possibilità di un’eruzione».

Cosa potrebbero fare le Istituzioni per risolvere questa situazione, ora e per il futuro?

«Quest’area come le dicevo è caratterizzata dal più alto rischio vulcanico al Mondo, principalmente a causa dell’altissima densità di popolazione. Attualmente c’è un Piano di Emergenza che prevede l’immediata evacuazione di una vasta area (detta zona rossa) in cui abitano circa 600.000 persone, e che comprende anche molti quartieri di Napoli, nel caso di eruzione imminente. Il problema è che, a parte le esperienze mondiali degli ultimi decenni, che mostrano come la previsione delle eruzioni sia in generale molto difficile e raramente dia risposte affidabili, proprio in quest’area ci sono stati due falsi allarmi (evacuazioni del 1970 e 1984), che dimostrano al di là di qualsiasi teoria la difficoltà di previsione, in presenza di fenomeni tipicamente associati ai ‘precursori delle eruzioni’, come sismicità, sollevamento del suolo e anomalie geochimiche nelle emissioni fumaroliche, che durano da oltre 70 anni. Abbiamo scritto lavori su prestigiose riviste scientifiche sull’argomento, e posso segnalare un volume del CNR scaricabile liberamente (https://www.cnr.it/sites/default/files/public/medi...), in cui, al capitolo 5, spieghiamo come si può gestire e mitigare l’altissimo rischio nell’area. E’ un lavoro multidisciplinare, perché il problema è molto complesso e non riguarda solo la vulcanologia, scritto insieme a prestigiosi economisti (come il Prof. Adriano Giannola Presidente SVIMEZ) e ad esperti di Intelligenza Artificiale (come il Prof. Massimo Buscema, Direttore del Centro Ricerche SEMEION e Docente all’Università del Colorado, Denver). Per sommi capi, bisogna innanzitutto diminuire la popolazione residente. Queste sono aree (come quella Vesuviana) ricchissime con vocazione prevalentemente turistica e culturale. Dal dopoguerra in poi, sono diventate dormitori alla periferia di Napoli. Questa enorme urbanizzazione, oltre a degradare l’area danneggiandone di fatto l’economia, genera l’altissimo rischio sismico e vulcanico. Diminuendo sostanzialmente la popolazione residente, che può vivere al di fuori della zona rossa e magari lavorare in quest’area o frequentarla occasionalmente per attività culturali, diventa estremamente più semplice pianificare una possibile evacuazione, anche magari ad eruzione appena iniziata. Ci vuole ovviamente tempo, per ridisegnare queste aree e renderle più vivibili e resilienti. Ma prima iniziamo meglio è; ed oggi potremmo sfruttare l’occasione dei fondi PNRR per creare nuovi insediamenti abitativi nonché collegamenti veloci (ferrovie e metropolitane) delle zone rosse con i nuovi insediamenti».

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Linda Di Benedetto