I crucci del Pd: meglio un segretario oggi o un premier domani?
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I crucci del Pd: meglio un segretario oggi o un premier domani?

Gruppi riuniti a oltranza in vista del voto di fiducia al governo Letta. A rischio il congresso dell'8 dicembre - Cade o no il Governo? Lo speciale -

Proviamo a mettere in fila le questioni su cui in queste ore stanno discutendo i gruppi del Pd al Senato e alla Camera riuniti in assemblea permanente da stamattina fino a domani sera in attesa della fiducia al governo di Enrico Letta che sarà votata, comprese eventuali mozioni, mercoledì mattina a Palazzo Madama e alle 16 alla Camera.

L'accelerazione improvvisa impressa da Silvio Berlusconi al compiersi del destino delle larghe intese con le dimissioni imposte ai ministri Pdl, ha infatti costretto i democratici a rimettere in discussione tutto ciò su cui si era creduto di aver piazzato un punto fermo. Compresa la data del congresso per la scelta del Segretario nazionale.

Ad oggi, infatti, alla luce della crisi di governo in atto, esiste il 50% delle possibilità che il congresso Pd, fissato all'8 dicembre, salti per davvero.

Perché nel caso mercoledì Enrico Letta non ottenesse la fiducia nei due rami del Parlamento (e al Senato i numeri sono risicati), sarebbe costretto a rimettere il proprio mandato nella mani del Presidente Giorgio Napolitano il quale, a quel punto, potrebbe tentare, e certamente lo farà, di verificare, attraverso le consultazioni, se ci sono le condizioni, per formare una nuova maggioranza e dar vita a un Letta bis.

Ma con un'edizione rivista e corretta delle larghe intese, la prospettiva di andare avanti fino al 2015 diventerebbe impraticabile – il M5S, Sel, da ieri il Pdl e ampi pezzi del Pd fremono perché si torni alle urne – e una volta risuscitato il Mattarellum (non c'è tempo per una nuova legge elettorale) e provveduto alle urgenze fiscali, Napolitano scioglierebbe le Camere.

Se ciò accadesse entro l'8 dicembre, data del congresso, sarebbe possibile andare al voto già in primavera e piuttosto che un segretario, al Pd servirebbe con urgenza un candidato premier.

Da quanto si apprende l'iter congressuale è in corso e non ha, al momento, subito battute d'arresto: le direzioni regionali sono state convocate entro il termine ultimo (l'8 ottobre) per formare le commissioni in vista del congresso.

Congresso che, però, potrebbe appunto doversi trasformare in primarie per premiership, come non esclude oggi nemmeno Massimo D'Alema.

Una prospettiva che, tutto sommato, dispiacerebbe a pochi visto che se il congresso saltasse nemmeno gli stessi renziani, che tanto strepitarono perché fosse finalmente convocato, ci rimarrebbero tanto male.

Primo perché, a parte aver ottenuto una platea di votanti aperta a tutti coloro che dichiarino di riconoscersi nei valori e nel programma del Pd e non solo agli iscritti, il fatto che a livello locale si voti in giornate diverse (prima per i segretari provinciali, dopo per quelli regionali) non è per niente un vantaggio e quindi, se non se ne facesse nulla sarebbe anche meglio.

Secondo perché per Matteo Renzi significherebbe potersi candidare direttamente a Palazzo Chigi, che in fondo è l'unico posto dove gli interessa davvero andate.  Anche se non è chiaro con quale partito dietro visto che il Pd è talmente autolesionista da essere capace di perdere le prossime elezioni solo per non farle vincere al sindaco di Firenze.

Contro di lui, tra l'altro, potrebbe candidarsi (e sono pochissime le possibilità che non lo faccia) proprio l'attuale premier Enrico Letta. Una sfida che sancirebbe una volta per tutte la compiuta rottamazione visto che per la prima volta vedrebbe di fronte due dirigenti democratici ancora abbastanza giovani, con la stessa formazione e provenienza politica deideologizzata, democristiana e popolare.

Appunto. E gli ex Ds che fine fanno? I vari dalemiani, bersaniani, orfiniani ecc chi appoggiano? L'ipotesi è che si accordino con Renzi per garantirgli il sostegno contro Letta in cambio del suo a favore di Gianni Cuperlo.

Ma a Renzi converrebbe davvero avere Cuperlo come segretario del Pd? Probabilmente no se vuole evitare di finire di fatto commissariato dal detestato “Apparato”.

Dunque rispunterebbe la possibilità di un accordo Renzi-Letta. In fondo i due sono diversi ma complementari, anche se per motivi opposti piacciono entrambi, uno è sveglio l'altro diligente, uno provocatore l'altro mediatore, uno spacca l'altro unisce. Uno vince le elezioni, l'altro governa il partito. 

Un piano quasi perfetto se non fosse che se davvero finisse così, ciò sancirebbe anche la fine del partito nato nel 2007 dall'incontro, chiamatela pure fusione a freddo se preferite, tra gli eredi del Partito Comunista e quelli della Democrazia Cristiana. Significherebbe la definitiva scissione, e lo significherebbe perché non si capirebbe cosa dovrebbero rimanerci a fare gli ex Ds in un partito di cui non hanno più nemmeno la metà del controllo.

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Claudia Daconto