Caos in Iraq, il premier al Maliki somiglia a Saddam
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Caos in Iraq, il premier al Maliki somiglia a Saddam

A dieci anni dall'arrivo delle truppe Usa le tensioni tra sciiti e sunniti sono alle stelle e al Qaeda ne approfitta per seminare il terrore

A dieci anni dall'arrivo degli americani e dopo il loro ritiro, in Iraq si continua a combattere e a morire. Nel giorno in cui nel 2003 George W. Bush inviò le truppe americane nel paese di Saddam Hussein, l'ennesima autobomba a Baghdad fa aumentare il bollettino dei morti civili e consegna il ritratto di un paese in fiamme, libero dalla dittatura ma completamente spaccato tra fazioni che combattono per raggiungere il potere.

Un mare di petrolio e più di 116.000 vittime civili. Sono questi i dati da cui partire per cercare di capire in che direzione sta andando l'Iraq. A Baghdad regna il caos. Il presidente Jalal Talabani, kurdo, si è sempre fatto garante del dialogo tra etnie diverse, a cominciare dai "secessionisti" del Kurdistan nord-iracheno che scalpitano per diventare uno Stato sovrano e indipendente, in grado di gestire autonomamente i pozzi di petrolio dell'area settentrionale del Paese.

Ma Jalal Talabani è gravemente malato e politicamente sempre più debole. E il suo primo ministro, Nouri al Maliki (sciita) non sembra voler percorrere la strada del dialogo con la controparte sunnita. Recentemente lo speaker del Consiglio dei Rappresentanti dell'Iraq è tornato a criticare duramente il primo ministro, accusandolo di interferire con "corpi indipendenti" dell'amministrazione dello Stato.

Le tensioni all'interno del Parlamento sono alle stelle. Nouri al Maliki è accusato di voler monopolizzare il potere, mettendo all'angolo le varie componenti politiche presenti in Iraq e che stanno cercando la strada per una pacifica convivenza. Il governo di al Maliki ha recentemente ordinato l'arresto del suo vice-presidente sunnita, accusandolo di "legami con il terrorismo". E questo non ha fatto altro che esacerbare gli animi.

In più, il messaggio che arriva dal Kurdistan è forte e chiaro. Il presidente Massoud Barzani, durante le recenti celebrazioni per commemorare i 25 anni del genocidio dei kurdi per mano di Saddam Hussein, ha dichiarato che "o si è partner allo stesso livello" o i destini di Erbil e Baghdad sono destinati a dividersi. Una frecciata lanciata verso al Maliki, alla quale il primo ministro non ha risposto.

E quello che da mesi sta accadendo a Falluja è un ulteriore segnale del caos che sta attraversando il Paese. In migliaia, formalmente sunniti, sono scesi in piazza per protestare contro il potere sciita che regna a Baghdad. Hanno dormito nelle tende e lanciato messaggi via Twitter e Facebook, sul modello della rivoluzione egiziana, ma - lungi dall'essere una primavera irachena - i giovani sunniti hanno dato una dimostrazione di forza, mostrando i muscoli al potere sciita e rifiutando quella che viene definita la "arabizzazione" dell'Iraq.

Last but not least c'è al Qaeda. Membri della multinazionale terroristica hanno intensificato la loro campagna di terrore ingrossando le truppe dei sunniti. Gli attentati a Baghdad ne sono la massima espressione. La metodologia è quella tipica delle cellule qaediste: kamikaze e bombe nei luoghi nevralgici della città, dai bazar alle stazioni di polizia.

Il ritiro delle truppe Usa non lascia un paese pacificato, ma in balia di guerre intestine, tra nord e sud. Kurdi, sunniti, sciiti, combattono per riuscire  a conquistare fette di potere sempre maggiori e poter incassare i ricchi conti dei barili di petrolio estratti ogni giorno. La percezione che si ha in Iraq è quella di un'estrema fragilità e di una devastante instabilità. Lo scontro tra sciiti e sunniti non si spegne e non arrivano segnali di dialogo dal potere centrale.  

L'autoritarismo di al Maliki per molti potrebbe incarnare una nuova dittaturae non è un segreto che il primo ministro sia aperto alle relazioni con l'Iran e sostenga la linea di Bashar al Assad in Siria. Controllando ogni settore dell'amministrazione, a cominciare dalle forze di sicurezze che sono praticamente nelle sue mani, il premier sta conducendo l'Iraq verso una guerra civile che avrà ripercussioni su tutta la regione.

Dal caos di Baghdad potrebbe venire fuori un nuovo Saddam Hussein, e questo è il pericolo maggiore per il popolo iracheno, che dopo dieci anni non ha ancora smesso di contare e di piangere le sue vittime.

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Anna Mazzone