Made in Italy, cosa cambia con le nuove regole europee
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Made in Italy, cosa cambia con le nuove regole europee

Con la nuova disciplina Ue sui marchi, consumatori meglio informati e lotta più efficace alla contraffazione

Il mondo della piccola e media impresa italiano può esultare: dopo anni di inutili battaglie combattute in sede comunitaria e iniziate nel lontano 2005, il nostro Paese è riuscito finalmente a far votare dal Parlamento di Strasburgo una nuova e più stringente normativa sul Made in. In pratica d’ora in poi su tutti i prodotti, con alcune eccezioni come alimenti e medicinali, che saranno venduti sul mercato Ue dovrà essere applicato il marchio ”Made in” con la specifica del Paese di provenienza. Per le merci prodotte fuori dall’Unione, il “paese di origine” dovrà essere quello in cui il bene ha subito “l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata”, come recita lo stesso testo di legge.

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Un risultato molto significativo, accolto, come detto, con grande soddisfazione soprattutto dal settore della piccola e media industria italiana, quella legata in particolare al mondo dell’artigianato, che finalmente nel contesto europeo vedrà riconosciuti diritti finora palesemente lesi. In questo senso emblematiche sono stati i commenti giunti dalla Confartigianato che ha parlato della necessità di “una chiara e inequivocabile identificazione dell’origine dei prodotti e delle lavorazioni, perché il mondo cerca il Made in Italy e i consumatori sono disposti a pagare un premium price pur di avere un prodotto fatto in Italia, a regola d’arte”.

E i vantaggi connessi a questa nuova disciplina del marchio di provenienza sono molteplici: si va appunto dalla valorizzare del patrimonio manifatturiero dell’artigianato e dell’impresa, alla difesa del diritto dei consumatori a una corretta informazione sull’origine dei beni acquistati, fino a una sempre più efficace lotta al fenomeno della contraffazione. E’ il caso poi di precisare che in effetti, secondo la nuova norma approvata, i produttori Ue potranno scegliere se mettere sull’etichetta la dicitura “Made in Eu” oppure il nome del loro Paese. Un passaggio questo di compromesso che è la spia della dura battaglia che si è combattuta in questi anni intorno a questa nuova disciplina del marchio. Non bisogna dimenticare infatti, che i Paesi del Nord Europa e in particolare la Germania e quelli anglo-scandinavi, si sono sempre opposti a queste novità sul Made in.

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Stiamo parlando di realtà dove, nonostante le esportazioni contino moltissimo, e il caso della Germania è quanto mai evidente, non si è mai sentita l’esigenza di mettere in risalto la provenienza dei propri prodotti. Che su un grosso macchinario industriale infatti ci sia o meno la dicitura di provenienza poco cambia,visto che spesso si tratta di manufatti realizzati su commessa e su misura. Diverso è il caso di prodotti dell’abbigliamento, o di calzature, o ancora di arredamenti, dove invece la qualità del marchio può essere fondamentale nella fase commerciale. Da qui il grande interesse dell’Italia, realtà produttiva fortissima proprio in questi ultimi comparti manifatturieri, a far sentire la propria voce in questo senso.

Finalmente,come detto ,il nostro Paese l’ha spuntata, riuscendo anche in parte a spaccare il fronte tedesco, con i deputati europei di Berlino,che nel voto finale si sono divisi. Ora però manca l’ultimo tassello, ossia il via libera definitivo del Consiglio europeo che, qualora arrivasse in tempi rapidi, potrebbe far entrare in vigore la nuova normativa sui marchi già per gli inizi nel 2015.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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