La Legge di stabilità: potevamo evitarla?
Economia

La Legge di stabilità: potevamo evitarla?

I conti sono in ordine sia quest'anno che nel 2014. Ma l'Europa incombe e Letta punta a...

Provate a chiedere: ma perché il governo ha varato questa legge di stabilità? Pochi sapranno rispondere. Eppure il motivo è importante perché rivela non solo la strategia del governo nei confronti dei conti pubblici ma anche la possibile conclusione parlamentare della manovra.

La risposta alla domanda è spiazzante: in realtà nessuno ci obbligava a fare questa manovra. Diciamo che «ce la siamo imposta da soli». Il motivo è questo. Come si sa i parametri di Maastricht affermano che ogni Paese deve avere un rapporto tra il deficit annuale e il Pil di quell’anno del 3%. Ma questo obiettivo, per il 2013, era già stato raggiunto con alcune misure economiche prese prima di quest’ultima manovra; ad esempio con l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Bisognerà poi vedere se aumentare l’imposta sui consumi farà aumentare il gettito fiscale (in passato è successo il contrario), ma questo è tutto un altro discorso.

Quest’ultima manovra riguarda la sistemazione dei conti pubblici per il prossimo triennio anche se, sembrerà strano, per il 2014 non è affatto previsto che il rapporto deficit/Pil superi quel famoso 3%. Anzi: si prevede addirittura al 2,3%. La manovra di Letta, anche se non sembra, è, quindi, leggermente espansiva, perché prevede che nel 2014 questo rapporto salga al 2,5%, con un aumento, quindi, dello 0,2%. Ma il 2,5% significa che manca lo 0,5% al tetto massimo consentito dai vincoli di Maastricht. Quindi, teoricamente, non ci sarebbe nessun motivo impellente per realizzare la manovra. Il motivo per il quale è stata fatta è che alla base della strategia economica del governo c’è la riduzione del debito pubblico, cioè di quei famosi 2mila miliardi di euro che ci costano ogni anno circa 80 miliardi solo di interessi.

Per aggredire il debito pubblico non c’è altra strada che abbattere il deficit, cioè, non c’è altra strada che smettere di alimentarlo (anche se, in realtà, le emissioni di titoli del debito pubblico sono costantemente in calo). Questo vale, ovviamente, al netto di una patrimoniale che possa essere in grado di abbattere «di botto» il debito: una vecchia proposta, rilanciata recentemente, chiedeva un prelievo straordinario sulla ricchezza degli italiani più abbienti tale per cui lo stock del debito potesse calare di qualche centinaio di miliardi di euro. Ma in assenza della patrimoniale resta solo la strada di abbattere il deficit anno per anno. Tanto è vero che la riduzione del deficit continuerà negli anni successivi fino a toccare l’incredibile (per gli standard italiani) percentuale dello 0,7% nel 2016. L’obiettivo strategico è, insomma, un deficit pubblico pari a zero. La manovra di Letta va proprio in questa direzione seppure, come detto, è (anche se, ripetiamo, non sembra) leggermente espansiva.

Tutto questo significa che quando il provvedimento comincerà il suo iter in Parlamento sarà effettivamente bersagliato da proposte che aumentano le uscite perché deputati e senatori, più inclini ad accelerare la ripresa attraverso una maggiore spesa pubblica, avranno buon gioco nel dire che nel 2014, in realtà, c’è uno 0,5% di deficit che si può utilizzare per aumentarla. Si tratta di circa 8 miliardi. La partita parlamentare sta, quindi, tutta qui: tra chi vorrà spendere di più perché tutto sommato «i soldi ci sono» e chi, invece, vorrà mantenere inalterati i saldi di bilancio. Considerando che la Ue ha approvato la nostra manovra perché ha ricevuto dal premier Enrico Letta e dal ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni l’assicurazione che i saldi non cambiano, non è difficile prevedere che alla fine il governo sarà costretto a porre la questione di fiducia perché le spinte verso una maggiore spesa pubblica saranno difficilmente arginabili, dati i numeri in ballo. 

I più letti

avatar-icon

Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

Read More