I cinque motivi per cui l'economia della Cina supererà quella degli Stati Uniti
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Economia

I cinque motivi per cui l'economia della Cina supererà quella degli Stati Uniti

Il sorpasso dovrebbe avvenire entro la fine dell'anno, a patto che Pechino approvi, nel fine settimana, le riforme economiche di cui il paese ha bisogno

Appena un anno e mezzo fa l’Economist aveva calcolato che, entro il 2018, la Repubblica popolare cinese sarebbe riuscita a superare gli Stati Uniti, trasformandosi così nella prima economia del mondo. Tutto questo solo a patto che la Cina fosse riuscita a mantenere un tasso di crescita del 7,75 e l'America del 2,5 per cento.

Gli esperti del famoso settimanale britannico sono stati evidentemente troppo ottimisti. Pur avendo preso in considerazione l'ipotesi che Pechino potesse ritrovarsi a dover far fronte ad un significativo rallentamento, hanno dato per scontato che nei 18 mesi successivi l'economia a stelle e strisce sarebbe stata in grado di riprendersi molto meglio di quanto in realtà sia riuscita a fare. Ecco perché lo storico sorpasso rischia di essere anticipato niente meno che alla fine del 2013, quando, a parità di potere d'acquisto, il Pil cinese dovrebbe raggiungere i 16.400 miliardi di dollari, mentre quello statunitense potrebbe scendere sotto i 16.200. O almeno questo dicono le ultime stime elaborate dall'International Comparison Program (ICP), un organismo che lavora sotto l'egida della Banca Mondiale.

Come è possibile che una Cina così profondamente in crisi possa trasformarsi nella prima economia del pianeta, ponendo fine al secolo e mezzo di dominio americano e gettando le basi per il consolidamento di quello cinese? I motivi che giustificano l'inaspettato sorpasso anticipato sono sostanzialmente cinque.

1) La Cina è ancora un paese poverissimo, e proprio per questo è più facile sostenere la crescita una volta individuate le "giuste" riforme da applicare.

2) Le stime dell'ICP valutano il Pil non in termini assoluti ma a parità di potere d'acquisto, metodo che, pur essendo validissimo, offre alla Repubblica popolare un vantaggio non indifferente, perché ancora oggi la vita nelle campagne (e non solo) ha costi praticamente nulli. 

3) Oltre a poter attingere a enormi sacche di risparmio, Pechino è fortunata anche perché tutte le risorse che ha accumulato negli ultimi anni, oltre a quelle di cui dispone naturalmente, come carbone e terre rare, le permettono di continuare a sostenere la crescita economica anche a fronte di una riduzione o interruzione improvvisa dei flussi di materie prime in entrata.

4) Anche se il costo della forza lavoro sta aumentando, inducendo molti investitori a cercare un'alternativa alla Repubblica popolare per la delocalizzazione di produzioni a bassissimo valore aggiunto, Pechino può ancora contare su centinaia di migliaia di potenziali operai che al momento risiedono nelle regioni meno sviluppate dell'ovest per lanciare una eventuale seconda industrializzazione.

5) Infine, sembra che Pechino sia non solo molto più libera di Washington di approvare le riforme economiche di cui la nazione ha bisogno, ma anche determinata a farlo in tempi rapidi. Che il motivo sia la necessità di evitare che l'insoddisfazione che si respira per le strade del paese, dove la gente si lamenta per il peggioramento a livello di opportunità e qualità della vita degli ultimi mesi, si trasformi in reale dissenso non importa. Ciò che conta è che la Cina potrebbe annunciare già nel fine settimana i dettagli del rivoluzionario "Piano 383", gettando le basi della sua stessa ripresa.

Sabato si aprirà il Terzo Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, da sempre un appuntamento politico molto atteso. Il Terzo Plenum è storicamento l'occasione in cui i leader appena eletti annunciano la nuova politica economica del paese. Alla fine degli anni '70, Deng Xiaoping annunciò le grandi riforme destinate a cambiare il destino della nazione proprio in questa occasione. E lo stesso fece Jiang Zemin nel 1993, quando tagliò le grandi aziende di stato da 10 milioni a meno di 300mila.

Tanti si aspettano che nel corso del Terzo Plenum di quest'anno venga definita una linea di politica economica destinata a cambiare profondamente la Cina, proprio come più di trent'anni fa riuscì a fare il Piccolo Timoniere. Le premesse sono buone: il Piano 383 punta sull'apertura dei mercati, su una massiccia ristrutturazione aziendale che premi l'innovazione, e ancora riforma agraria, riforma del sistema bancario, welfare, liberalizzazione del tasso di interesse e del tasso di cambio. Insomma, tutti i punti chiave lasciati in stand by dagli ultimi governi, sia per incapacità politica, sia per mancanza di consenso.

Se Xi Jinping fosse in grado di raggiungere anche solo la metà degli obiettivi che si è posto, riuscirebbe non solo a trasformare la Cina in un'economia moderna, ma anche a consolidare il suo potere senza aver bisogno di concedere troppo dal punto di vista delle riforme politiche e sociali. E se il Terzo Plenum sarà così rivoluzionario come tanti si aspettano, il sorpasso degli Usa diverrà scontato, e per quanto il dinamismo e la capacità d'innovazione della loro economia resti incomparabile, faremmo bene a iniziare a calcolare i tempi del sorpasso "finale", quello calcolato in valori assoluti. I cinesi lo hanno già fatto: il 2020.

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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