Alitalia e il futuro con Poste Italiane
Economia

Alitalia e il futuro con Poste Italiane

Cosa insegna l'ingresso dell'azienda guidata da Massimo Sarmi nel capitale della compagnia e cosa serve ora per una crescita reale

Sembra quasi uno scherzo del destino: nel giorno in cui le Poste italiane staccano un assegno di 75 milioni di euro per dare un po' d'ossigeno ad Alitalia, Royal Mail, la mitica compagnia postale britannica annuncia che andrà in borsa portando nelle casse del Tesoro ben 3,3 miliardi di sterline (oltre 3,5 miliardi di euro). E i laburisti, ingordi, gridano già che è un prezzo di saldo. Già; divergenze parallele tra un sistema economico, quello oltre Manica, che ha ritrovato vitalità e un altro, quello al di qua delle Alpi, che s'arrabatta per non chiudere alcuni dei suoi ex campioni nazionali tra i quali la compagnia di bandiera. L'operazione Poste contro la quale si scagliano i liberisti puri e duri e verso la quale accende i riflettori anche l'Unione europea, temendo che si tratti di un puro e semplice aiuto di stato, più passano le ore più sembra un ponte tibetano gettato sul baratro. Allo stato attuale c'è solo una trasfusione di denaro per evitare il crac, spingere le banche (a cominciare da Intesa) a prestare di 200 milioni e selezionare il vecchio pot-pourri di azionisti privati. I pochi rimasti metteranno altri 200 milioni, tra essi Roberto Colaninno e Gilberto Benetton (la famiglia Riva esce definitivamente di scena). Il consiglio di amministrazione ha dato il via libera alla ricapitalizzazione più rifinanziamento, in tutto mezzo miliardo di euro; e a questo punto si aspetta che Air France-Klm scopra le carte.

Il partner industriale resta sempre il gruppo franco-olandese? Per ora sì, tuttavia le condizioni della trattativa cambiano. Sembra proprio questo il vero obiettivo del governo italiano che non vuole trovarsi nelle condizioni di essere accusato di liquidare la compagnia e cederla all'estero per nulla. Su tutti i suoi predecessori, del resto, sono piovute pietre. Romano Prodi venne attaccato perché voleva "svendere" ai francesi. Silvio Berlusconi e Corrado Passera (allora capo della Banca Intesa) perché hanno chiamato in causa la cordata di industriali "patrioti". Adesso tocca a Letta. Alitalia è come la nazionale, ciascuno ha in testa la sua formazione ideale, ma nessuno sa come funziona una compagnia aerea o una squadra di calcio che vogliano essere competitive. Per non rischiare la corrida dei luoghi comuni, non resta che sollevare gli interrogativi del contribuente che non vuole essere sempre spennato o del viaggiatore che vorrebbe un buon servizio a prezzo equo.

I quattrini che mettono le Poste, da dove provengono? La società ha un utile consistente, 1 miliardo netto su 24 miliardi di ricavi. Anche se è posseduta al 100% dal Tesoro, non si può dire che quei 75 miliardi siano presi dalle tasse, semmai dai buoni postali acquistati da un'amplissima platea di risparmiatori un tempo piccoli e prudenti, oggi molto più robusti. Nei suoi 12 anni al comando, Massimo Sarmi ha trasformato l'azienda in una holding finanziaria, una quasi banca con tanto di assicurazioni (Poste Vita), più un servizio telefonico (Poste Mobile), otto aerei che volano giorno e notte, senza dimenticare la Banca del Mezzogiorno. L'80% degli utili vengono dai servizi non tradizionali, soprattutto dalle attività finanziarie, la distribuzione di lettere e pacchi, al contrario, non va bene e batte in ritirata.

Non saranno, insomma, i postini a far decollare di nuovo l'Alitalia. L'azienda postale diventa azionista con circa il 12-15%, dunque la numero due dopo Air France-Klm, ma non avrà la guida. Il governo ha promesso un cambio completo ai comandi. E un progetto di sviluppo con il quale andare alla trattativa, un piano che fa perno sulle rotte di medio e lungo raggio. Esattamente quelle che i francesi vorrebbero ridimensionare. Per giudicare, in ogni caso, bisogna vedere le carte e sarà proprio il programma industriale la cartina di tornasole. Un po' come lo è stato nel caso delle Ferrovie. Secondo alcuni l'ipotesi presentata dall'amministratore delegato Mario Moretti è solo rinviata, ma sembra che a Bruxelles abbiano alzato la paletta rossa, temendo l'impatto sulla concorrenza e soprattutto che diventasse davvero un salvataggio pubblico. Stando alle indiscrezioni, Moretti voleva che i privati uscissero di scena, chiedeva il monopolio dei treni ad alta velocità su Roma-Milano e che l'antitrust non mettesse i bastoni tra le ruote. Un po' troppo per tutti. Ma il capo delle ferrovie dello stato aspetta sulla riva del fiume.

Quanto a Massimo Sarmi, può vantare di aver fatto un gran favore al governo. E forse si attende una ricompensa. Il suo mandato alle Poste scade la prossima primavera. Gli era stata proposta la presidenza di Telecom Italia, ma senza deleghe. Forse a questo punto può alzare il prezzo e chiedere un potere pari a quello che aveva Franco Bernabè. Da oggi ha quanto meno la gratitudine di Maurizio Lupi, il ministro dei trasporti che ha caldeggiato la soluzione e dello stesso presidente del Consiglio. Ma anche Angelino Alfano può dire che non è stata sconfessata del tutto la linea che nel 2008 aveva portato il Pdl a salvare la compagnia di bandiera, nonostante l'evidente insuccesso riportato. Quanto al Pd, è diviso tra i nostalgici della rivincita (quelli che aveva ragione Prodi, era meglio vendere allora ad Air France) e i gruppi di pressione a cominciare dai sindacati per finire agli amministratori locali. Nei giorni scorsi, sia il piddino Nicola Zingaretti, presidente della Regione, sia Ignazio Marino, il gauchiste sindaco di Roma, hanno fatto sentire la loro voce: Fiumicino non si tocca e Alitalia nemmeno.

Il presidente di Air France, Alexandre de Juniac, ha detto che Alitalia sarà trattata come Klm il cui marchio non è affatto scomparso e le rotte internazionali nelle quali gli olandesi sono forti sono state salvaguardate. Anzi, l'idea sarebbe di integrare i tre hub: Roissy, Schipol e Fiumicino anche se lo scalo romano resta comunque un gradino almeno più sotto. Certo è che i dipendenti Alitalia dovranno subire altri tagli: stipendi e posti di lavoro rimangono a rischio. Lo stesso, d'altra parte, sta accadendo in Francia e in Olanda perché Air France-Klm perde quattrini e ha messo in cantiere una riduzione di ottomila dipendenti in tre anni, due miliardi di spese in meno per ridurre il debito e un aumento della produttività del 20%. Questa situazione, che ha spinto i francesi a tirarsi indietro nella ricapitalizzazione di Alitalia, solleva nuovi interrogativi. Davvero sono loro i partner giusti?

Dopo essersi emendata dai suoi peccati, Alitalia non entra nel giardino dell'Eden; anzi, farebbe parte di un colosso che rischia di trovarsi con i piedi d'argilla. Forse è meglio cercare qualcuno con le spalle più solide, come Ethiad, la compagnia degli Emirati arabi che ha manifestato interesse . E sullo sfondo resta anche Aeroflot. Far volare un aereo è carissimo e la competizione delle low cost mette tutti alla frusta, anche perché spesso la concorrenza non è esattamente equa e sostenibile. Ryanair, seconda in Europa per numero di passeggeri, dopo Lufthansa, paga le tasse in Irlanda, ma beneficia degli sconti e delle agevolazioni di aeroporti che sono proprietà degli enti locali, quindi sono pubblici. Quel furbacchione di Michael O'Leary lo chiama "negoziare i costi" e sul Corriere della Sera si dichiara pronto a prendersi le rotte che Alitalia taglierà. Non dice come, né dove, perché è improbabile che possa pagare le stesse tariffe aeroportuali, pure lui passa momenti difficili: gli utili si riducono e quest'inverno verranno lasciati a terra 70 aerei. Non ci sono pranzi gratis e spesso i campioni del liberismo vengono pagati da Pantalone.
    
   

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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