Daniele Mancini, l'ambasciator che porta pena
Marò: la decisione di trattenere a New Dehli il nostro ambasciatore sembra una trama hollywoodiana. Ma l’India vuole dimostrare a Roma che violare i patti ha un costo
Per Look Out News
Chissà se in India lo hanno visto quel film, “Argo”, vincitore solo poche settimane fa del premio Oscar. A giudicare dalla mossa di New Delhi che, in risposta all'annuncio del governo italiano di non far tornare in India i fucilieri italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha deciso di trattenere con la forza il nostro ambasciatore Daniele Mancini, la risposta è “sì”.
La Corte suprema indiana ha infatti intimato giovedì scorso al diplomatico italiano di non lasciare il Paese fino alla prossima udienza - fissata per il 2 aprile - sul caso dei due marò accusati di aver ucciso due pescatori nel febbraio dello scorso anno davanti alle coste del Kerala, nell’Oceano Indiano.
Il governo di New Dehli, attraverso il giudice Altamas Kabir, sostiene che Mancini sia “libero di muoversi“ ma anche che “dovrà informare le autorità per l'immigrazione se volesse lasciare il Paese” perché “non può farlo senza autorizzazione”. Intanto, tutti gli aeroporti indiani sono stati allertati e vigilano attentamente affinché non accada che Mancini possa sfuggirgli e lasciare il Paese, beffando per la seconda volta il governo indiano, già irritatissimo per il rifiuto del nostro ministero degli Esteri di rispedire i fucilieri in India per sottoporsi al giudizio della Corte.
La crisi degli ostaggi in Iran
Questo episodio non ha precedenti. Però ricorda quanto accadde nel 1979 a Teheran, in piena rivoluzione khomeinista: il 4 novembre l’ambasciata americana fu assaltata da giovani studenti iraniani che manifestavano sull’onda della rivoluzione. Dopo l’irruzione, i diplomatici che erano al suo interno (oltre 50) furono sequestrati per circa tre mesi. Passerà alla storia come la “crisi degli ostaggi in Iran”.
Racconta il già citato “Argo” (il film è una ricostruzione storica) che, in quell’occasione, sei funzionari del corpo diplomatico riuscirono a fuggire e si rifugiarono presso l’abitazione dell’ambasciatore canadese, Ken Taylor. Grazie a un astuto piano messo in piedi dall’agente della CIA esperto in esfiltrazioni, Tony Mendez, i sei riusciranno a fuggire dall’Iran a bordo di un normale aereo di linea: attraverso a una geniale quanto rischiosa copertura, si fingeranno una troupe cinematografica canadese e verranno comodamente fatti espatriare.
Ora, non siamo nel ’79 e tra Italia e India certo non corre neanche lontanamente il cattivo sangue che, come noto, avvelena il rapporto tra gli Stati Uniti e l’Iran. Anzi, i rapporti si potrebbero definire ottimi, nonostante tutto. E certo il nostro ambasciatore non rischia l’incolumità fisica. Eppure, di fronte alla decisione della Corte suprema indiana - la quale viola le norme diplomatiche a garanzia della libertà di movimento degli ambasciatori stranieri, secondo l'articolo 29 della Convenzione di Vienna del 1961 (dove si afferma che i diplomatici non sono “soggetti a nessuna forma di arresto o detenzione”) - c’è di che restare sbigottiti.
Cosa succederà a Daniele Mancini?
Mentre l’ambasciatore indiano in Italia, Basant Kumar Gupta, resta a New Dehli, a Roma già ci si chiede cosa si potrebbe fare per Daniele Mancini, dal momento che “ambasciator non porta pena”. Se, infatti, dovesse capitare, per sbaglio o per un gesto fanatico, che il nostro diplomatico o anche un semplice cittadino italiano venissero coinvolti in episodi di violenza per rappresaglia, i rapporti tra Italia e India non solo diventerebbero estremamente tesi ma il danno supererebbe il punto di non ritorno.
La cosa più probabile che accada, è che la Corte Suprema decida salomonicamente di espellere il nostro diplomatico. Ma se ciò non dovesse accadere, bisognerà che l’Italia pensi a un “piano B” per non umiliare Mancini con un soggiorno forzato in India. Un’operazione di esfiltrazione, che non avviene solo al cinema, sarebbe forse troppo rischiosa. E poi, c’è da chiedersi: se gestiamo così le nostre crisi internazionali, saremmo in grado di compiere una simile operazione? Il caso Calipari-Sgrena docet.
Infine, al di là di come finirà questa storia, due cose lasciano stupiti e attoniti. Primo: è possibile che non ci sia alcuna attenzione da parte dei nostri alleati sul tema? Possibile che una crisi tra due “big” del mondo non interessi a nessuno? Perché l’Europa non si schiera con forza?
Ma soprattutto: prima di ordinare ai due marò di restare a casa, il nostro governo aveva valutato le conseguenze del gesto? E aveva predisposto le eventuali contromisure?