telefonata Xi-Zelensky
(Ansa)
Dal Mondo

La telefonata tra Xi Jinping e Zelensky non cambia nulla

Nessuno spiraglio di pace dopo il primo colloquio telefonico tra il leader cinese e quello ucraino

La tanto attesa telefonata tra il leader cinese Xi Jinping e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è infine arrivata nella giornata di ieri, mercoledì 26 aprile. Si è trattato di una conversazione di un'ora, la prima tra i due capi di Stato da quando, quattordici mesi fa, la Russia ha invaso l'Ucraina. L’esito, tuttavia, era scontato: poche proposte tangibili su come la Cina potrebbe aiutare diplomaticamente Kiev, e nessuna discussione su un eventuale piano di pace per fermare la guerra.

Un atto soltanto dovuto, insomma, da parte della cancelleria di Pechino, che di fatti ha ricevuto una timida accoglienza da parte di Washington e dell’Europa (con l’eccezione del solito Emmanuel Macron: il presidente francese è sempre pronto ad ascoltare le sirene cinesi, e ne sponsorizza più di tutti il ruolo di potenza mediatrice).

Gli Stati Uniti si sono limitati a dire: «Siamo contenti che si siano parlati», mentre da Mosca il commento è stato ancor più laconico: «Prendiamo atto della disponibilità cinese, ma riteniamo che il problema non sia la mancanza di buoni piani». Vale la pena sottolineare come il colloquio telefonico Xi-Zelensky, come ha tenuto a precisare anche il ministero degli Esteri cinese, si è tenuto «su richiesta del presidente ucraino». Dunque, l’iniziativa non può essere letta come un segno eminentemente distensivo, e difficilmente il contenuto della conversazione è ascrivibile a un passo concreto verso la pace. Infatti, anche se «la Cina può giocare un ruolo importante» nella risoluzione del conflitto -come ha tenuto a precisare il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ai microfoni di SkyTg24 -, quel colloquio è stato poco più che una formalità. Utile semmai a confermare l’invio di un rappresentante speciale cinese per gli affari euroasiatici a Kiev e «in tutti gli altri Paesi interessati» alla soluzione della crisi ucraina (si tratta di Li Hui, ex ambasciatore cinese in Russia, che assume il ruolo di inviato speciale come già accaduto per l’Afghanistan e la Siria). Niente di più.

E non convincono neanche le affermazioni dello stesso Zelensky, secondo cui la conversazione al telefono con il presidente cinese sarebbe stata «lunga e significativa», ragion per cui il presidente ucraino spera «in uno sviluppo importante nelle relazioni bilaterali» tra Kiev e Pechino. È ovvia deduzione che tali relazioni si possano basare per il momento soltanto su aspetti logistici e commerciali, senza che ciò intacchi le «posizioni a tavola»: con Pechino che siede ancora al fianco di Mosca, mentre Kiev resta attaccata a Washington e Bruxelles. Certo, lo sforzo di Xi segna il passo più concreto compiuto finora dalla Cina per assumere quel ruolo di mediatore che il presidente finge di volere, ma il tempismo dice ben altro: in questo momento, infatti, Pechino è fortemente concentrata sul rafforzamento dei legami con l'Europa, per non vedere fallire gli investimenti che sono stati fatti sulla Belt and Road Iniziative, ovvero la nuova Via della Seta (che passa proprio dall’Ucraina in direzione Europa centrale).

Come ha ben inquadrato la vicenda Yun Sun, direttore del Programma Cina presso il think tank Stimson Center di Washginton, più che altro «i cinesi hanno aspettative realistiche su ciò che possono ottenere, poiché nessuno crede che la Russia o l'Ucraina siano pronte a sedersi e parlare in questo momento». Dunque, mentre Pechino agisce con calcolato cinismo scommettendo su più driver per il futuro della sua economia, Kiev è risoluta nel proporsi sempre più come una forza di attrazione agli occhi di potenziali nuovi alleati, affinché la Cina si convinca a sottrarsi all’alleanza strategica con la Russia. Compito invero difficilissimo, a meno che Zelensky non abbia promesso a Xi le chiavi per la ricostruzione dell’Ucraina stessa (già offerte all’Europa, peraltro) e la disponibilità imperitura dei porti ucraini. O almeno, di quelli che al momento restano sotto il controllo di Kiev. Già, perché il futuro appoggio di Pechino alla pace passa inevitabilmente per il campo di battaglia, dove la tanto annunciata controffensiva ucraina dirà molto del futuro di questa regione. Così come sarà dirimente la permanenza o la caduta eventuale di Putin al Cremlino.

Per adesso, le forze di terra russe appaiono saldamente determinate a mantenere le conquiste raggiunte dall'inizio della guerra, né appaiono ottimistici gli ultimi report dei generali statunitensi, che iniziano a dubitare delle capacità ucraine data la sproporzione degli schieramenti. Ma ciò che esattamente Xi Jinping potrebbe o spera di ottenere dalla crisi militare inEuropa dell’Est rimane tutt'altro che chiaro. Non è passata inosservata, ad esempio, l'intervista televisiva che ha rilasciato l’ambasciatore cinese a Parigi la scorsa settimana, quando ha affermato che «gli ex stati sovietici non hanno uno status ai sensi del diritto internazionale», sottintendendo che l'Ucraina potrebbe o dovrebbe divenire parte della Russia (come ripete da sempre Vladimir Putin). È altresì noto che il presidente russo – e questo Xi lo ha ben compreso – non intenda affatto rinunciare ai territori acquisiti, sia pur se questo viola il diritto internazionale, né ora né mai. Dunque, la mossa di Xi di chiamare Zelensky potrebbe essere più un tentativo «dovuto» all’Europa e alle Nazioni Unite per capitalizzare il sostegno euro-francese, che non altro. E questo secondo un principio banale, tale per cui nelle relazioni internazionali non è quasi mai la mediazione a garantire necessariamente il risultato, quanto piuttosto il solo fare lo sforzo.

Xi Jinping, dunque, sembra aver guadagnato molti crediti agli occhi dell’Occidente e questo gli è già sufficiente per non essere additato come correo della volontà di Putin o come colui che lo asseconda indipendentemente dalle reali intenzioni. E nondimeno l’impressione di essere equidistante gli garantisce di non vedersi piovere addosso sanzioni commerciali. Gli sforzi di Pechino per ricucire i rapporti con Washington e Bruxelles, insomma, sono tutti in quella telefonata. Mentre la pace è ben altra questione, e non interessa davvero a Xi Jinping, se non nell’ottica di un guadagno personale. Il leader cinese in questo segue appieno gli insegnamenti del suo illustre predecessore Mao Zedong, il quale soleva dire: «Non dispiacerti di ciò che non hai potuto fare, rammaricati solo di quando potevi e non hai voluto». Ebbene, il presidente-segretario cinese ha alzato la cornetta e ascoltato dalla viva voce di un presidente in guerra le sue richieste. E adesso ha molti elementi in più per valutare le prossime mosse, senza che questo lo costringa a scegliere da che parte stare.

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Luciano Tirinnanzi