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(Ansa)
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La partita Svezia-Nato passa per Washington e Budapest

Il parlamento turco ha dato il via libera alla richiesta di far parte dell'Alleanza ma chiede che in cambio l'Europa apra ad Ankara

La diplomazia è l’arte di far fare agli altri ciò che vogliamo. Il celebre motto calza perfettamente nel caso della difficoltosa adesione della Svezia alla Nato. La buona notizia è che il parlamento turco, nel quale l’alleanza di governo del presidente Tayyip Erdogan detiene la maggioranza, l’altro ieri ha votato con 287 voti a favore e 55 contrari l’approvazione della richiesta presentata per la prima volta dalla Svezia nel 2022 per far parte dell’Alleanza e rafforzare la propria sicurezza in risposta all’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, specialmente sul fronte nordorientale e sul Mar Baltico. Nel parlamento turco il partito Ak di Erdogan ha appoggiato la candidatura della Svezia dopo che il governo di Stoccolma ha approvato alcune nuove norme nella lotta al terrorismo, un passo fondamentale per Ankara, dove anche gli alleati nazionalisti dell'Akp, l'Mhp e il principale partito d'opposizione Chp hanno votato pro-Svezia, mentre i partiti nazionalisti, islamici e di sinistra hanno respinto la mozione. Il meccanismo per entrare nell’alleanza Atlantica prevede che tutti i membri debbano approvare le richieste dei paesi che desiderano aderire, ma quando due anni fa lo fecero Svezia e Finlandia, la Turchia sollevò obiezioni accusandole di proteggere persone ritenute terroristi. Successivamente, nell’aprile scorso, furono approvate le adesioni finlandese e ungherese, ma non quella di Stoccolma. Ankara aveva esortato più volte gli svedesi a inasprire la loro posizione nei confronti dei membri locali del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), che anche l'Unione Europea e gli Stati Uniti considerano un gruppo terroristico. In risposta a questo, Stoccolma ha introdotto un nuovo disegno di legge antiterrorismo che rende illegale l’appartenenza a qualsiasi organizzazione terroristica e adottato misure per allentare le politiche sulle esportazioni di armi verso la Turchia, così come hanno fatto Finlandia, Canada e Paesi Bassi.

Fuat Oktay, capo della commissione parlamentare per gli affari esteri e membro al governo del partito Ak, durante la conferenza stampa ha dichiarato: “Sosteniamo l'allargamento della Nato per migliorare gli sforzi di deterrenza dell'alleanza (…) ci auguriamo che l'atteggiamento della Finlandia e della Svezia nei confronti della lotta al terrorismo costituisca un esempio per gli altri nostri alleati”. Martedì scorso l'ambasciatore americano in Turchia Jeff Flake, in una dichiarazione scritta aveva dichiarato: “Apprezzo molto la decisione del Parlamento turco di approvare oggi l'ingresso della Svezia nella Nato, l'impegno della Turchia nei confronti dell'Alleanza dimostra chiaramente il nostro duraturo partenariato”. La decisione turca è stata accolta con apprezzamento dal ministro degli Esteri svedese Tobias Billstrom, che ha commentato: “Ora aspettiamo con impazienza che il presidente Erdogan firmi il documento di ratifica”, frase giustificata dal fatto che Erdogan dovrebbe formalizzare l’atto entro la settimana, lasciando l'Ungheria – il cui primo ministro Viktor Orban ha rapporti amichevoli con il presidente russo Vladimir Putin – come l'unico Stato membro a non aver approvato l'adesione della Svezia. Ma dietro questa manovra c’è la volontà del presidente Orban di cercare nella Svezia un aiuto per rinegoziare la posizione del suo paese nell'Unione europea, vista la scarsa popolarità di cui gode nella maggioranza di Ursula von Der Leyen. Intanto, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha dichiarato: “Conto anche sull'Ungheria per completare la ratifica il prima possibile” ma è chiaro che parte della ruggine che tra Nato e Turchia deriva dal fatto che Ankara si era opposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma aveva al tempo stesso criticato le sanzioni occidentali contro Mosca. E ovviamente il Cremlino, dopo l’ok per la Svezia nella Nato, ha subito avvertito che risponderà al rafforzamento delle infrastrutture militari nei due stati nordici ad essa confinanti. La partita pro-Svezia si è giocata però anche dall’altra parte dell’Atlantico con l’ok della Difesa Usa per la vendita a Erdogan di nuovi aerei da combattimento Lockheed-Martin F-16, un segnale di riappacificazione tra Washington e Ankara dopo l’espulsione della Turchia dal programma F-35 avvenuta nel 2019 a causa dell’acquisto di missili S-400 di costruzione russa da parte di Erdogan. Restano sul piatto della partita Usa-Turchia gli accordi per l’uso delle basi militari sul territorio turco, indispensabili alla Nato per presidiare il fronte sud dell’Europa e l’Asia occidentale. Ora per la vendita degli aeroplani manca soltanto l’ok del Congresso Usa, che però potrebbe non essere soltanto una formalità a causa delle tensioni dovute alle prossime elezioni americane. Il cui vincitore, se dovesse essere Donald Trump, metterebbe in discussione l’attuale stato dell’Alleanza e soprattutto il suo finanziamento. Molti Paesi, Italia inclusa durante il governo Gentiloni (2016-2018), avevano assicurato gli usa di voler aumentare i contributi alla Nato raggiungendo almeno il 2% del Pil in spese militari. Un traguardo mai raggiunto.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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