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(Ansa)
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All'ideologismo di Roberto Scarpinato si risponde con una vera riforma della giustizia

Il battibecco tra l'ex pm, oggi grillino, Giulia Bongiorno e Giorgia Meloni mostra ancora una volta come la disputa tra i due poteri dello Stato sia un problema da risolvere, con urgenza e con una riforma ormai indispensabile

Dalla grigia aula di un tribunale alla rossa aula del Senato, Roberto Scarpinato e Giulia Bongiorno continuano il loro duello. Lui è stato magistrato a Palermo, e assieme a Gian Carlo Caselli ha condotto il controverso procedimento penale contro Giulio Andreotti, accusato di mafia e di aver baciato Totò Riina, terminato in primo grado nel 1999 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» del sette volte presidente del Consiglio (e quell’assoluzione piena fu confermata fino in Cassazione). Lei è stata l’avvocato del suddetto Andreotti. Lui oggi è senatore del Movimento 5 stelle, lei è senatrice della Lega. Avversari ieri, avversari oggi.

Nel dibattito sulla fiducia al nuovo governo, Scarpinato ieri ha spiegato al Senato che il fascismo in Italia non è mai sparito perché «ha assunto le forme del neofascismo», ed è stato co-protagonista della «strategia della tensione» e autore di stragi. Con un approccio ancor più duramente ideologico, Scarpinato ha attaccato «la Bibbia neoliberista», «l’establishment di potere», perfino «il padronato». Scarpinato ha aggiunto che la mafia è ben lungi dall'essere debellata a causa delle protezioni politiche che continuerebbe a ricevere, e perché nessuno colpisce i cosiddetti «colletti bianchi».

Rivolgendosi a Giorgia Meloni, che nel suo discorso programmatico aveva peraltro speso parole importanti e definitive non soltanto contro il fascismo, ma anche contro la mafia, Scarpinato – attingendo a un armamentario ideologico che purtroppo pareva simile a una pagina del Fatto Quotidiano – è arrivato inopinatamente a rinfacciare eccessiva vicinanza a una serie di esponenti stragisti di Ordine Nuovo e a «un quadro di valori di ascendenza neofascista». Ha negato che una maggioranza così vicina a quel «Pantheon» abbia alcuna legittimità di procedere a riforme istituzionali, tanto meno se in senso presidenzialista. Le ha rimproverato anche di avere alleati ambigui nella lotta alla mafia.

Giulia Bongiorno ha preso la parola subito dopo, e ha attaccato: «Mai avrei immaginato 20 anni dopo di prendere la parola dopo il dottor Scarpinato». Poi ha ricordato che in tribunale il magistrato «aveva sempre questo modo di parlare tranquillo, quasi sottovoce, mentre in realtà diceva cose terribili. Esattamente come oggi».

Il presidente del Consiglio ha risposto più seccamente al neosenatore grillino: «Dovrebbe colpirmi che da una persona che ha avuto l’opportunità di giudicare gli imputati nelle aule di tribunale emerga oggi un atteggiamento così smaccatamente ideologico» ha detto Giorgia Meloni. «Purtroppo mi stupisce fino a un certo punto. L’effetto transfer che lei ha fatto tra neofascimo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico dei teoremi con cui parte della magistratura ha costruito processi fallimentari, a cominciare dal depistaggio nel primo giudizio per la strage di via D’Amelio. E questo è tutto quello che ho da dirle».

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Maurizio Tortorella

(Pisa, 1960). Dal 1981 vive e lavora a Milano, dove ha esordito come giornalista nella redazione del Sole 24 Ore. Oggi è vicedirettore del settimanale Panorama, di cui è stato inviato speciale tra il 1991 e il 2004. Ha scritto di scandali, mafia e politica, ma soprattutto di cronaca giudiziaria. Ha pubblicato tre libri: L'ultimo dei Gucci (Tropea); Rapita dalla giustizia (Rizzoli); La gogna. Come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli).

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