La campagna choc contro l'aborto firmata da CitizenGO
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Quando la campagna pubblicitaria punta allo choc comunicativo

I manifesti antiabortisti comparsi a Roma s'inscrivono nel filone dell'adv aggressivo che punta a scuotere il pubblico. Ma funziona davvero?

Umberto Ecososteneva che il linguaggio iconico si manifesti in tutta la sua potente epifania per il fatto di destrutturare il nesso semantico tra significante e significato andando diretto alla forza evocativa dell'immagine.

La potenza del linguaggio pubblicitario

E' esattamente questo quello che fa la pubblicità specie nella sua veste urbana declinata in grande manifesto d'impatto sul pubblico. Alla potenza dell'immagine s'aggiunge, poi, lo slogan a effetto che completa il messaggio puntando a scuotere il fruitore finale affinché il claim resti impresso: che sia nel bene o nel male tutto sommato - a livello dell'efficacia comunicativa - è secondario.

Il gruppo pro-vita CitizenGo, con la sua ultima campagna pubblicitaria ha fatto, in questo senso, centro.

La discussa campagna antiabortista

Da un paio di giorni, infatti, l'immagine in bianco e nero di una donna incinta su fondo scuro ha attirato l'attenzione dei romani che hanno visto il manifesto comparire in città. Impresso sulla foto lo slogan recita: "L'Aborto è la prima causa di Femminicidio nel mondo".

Nell'anno di #MeToo, vessillo dell'ultima generazione di femministe che lottano contro lo strapotere dell'uomo sul posto di lavoro, vedere affiancare la causa del femminicidio al diritto all'aborto è uno choc. E choccare era esattamente quello cui il manifesto puntava.

Sui social non si parla d'altro in questi giorni con petizioni affinché il sindaco Raggi faccia rimuovere i manifesti tutelando l'onorabilità della legge 194, una delle migliori d'Europa, che protegge la donna e sancisce il suo sacrosanto diritto d'interrompere una gravidanza indesiderata. 

CitizenGo, in preparazione alla marcia per la vita che si terrà il prossimo 19 maggio, via social, ha spiegato: "È in atto il tentativo di censurare e silenziare chi afferma la verità sull'aborto, che sopprime la vita di un bambino e ferisce gravemente quella della donna. Rivendichiamo il diritto di opinione ed espressione tutelato dalla Costituzione".

Al netto di come finirà la vicenda, chi si occupa della comunicazione di CitizenGo può dirsi soddisfatto: lo choc comunicativo è avvenuto: quel cortocircuito tra politicamente corretto e scorrettezza pubblicitaria ha creato il black out semantico che resta impresso.

L'aggressive Adv

E' lo stesso meccanismo messo in atto da decine di campagne pubblicitarie che, a livello mondiale, in questi anni, hanno scritto la storia dell'aggressive adv. Basti pensare alla maggior parte degli spot animalisti della Peta, che siano quelli contro l'uso della carne o contro l'utilizzo delle pellicce di animali nella moda l'effetto choc era quello cui puntava l'associazione. 

Stessa cosa si può dire delle campagne di chi si oppone all'obbligatorietà dei vaccini che gioca associando immagini di bebé a slogan forti quali "Io sono un morto di vaccino del quale non verrai mai a conoscenza" oppure "Io sono uno dei bimbi morti per SIDS post vaccinale esavalente". 

L'esempio di Oliviero Toscani

In questo senso il maestro dello Shockvertising è il fotografo Oliviero Toscani le cui campagne pubblicitarie sono addirittura esposte nei musei. Indimenticabile quella contro l'anoressia che aveva fotografato il corpo martoriato di Isabelle Caro, morta a 28 anni di anoressia, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul dramma della malattia mentale che si chiama anoressia.

Altre volte, invece, l'uso di spunti che arrivano dalla cronaca o dall'attualità è semplicemente furbo.

Le pubblicità "furbe"

Così è stato per la pubblicità della linea d'abbigliamento Erick Evans che ammicca con la violenza e il sessismo lasciando muscoli ben torniti e curve sexy in bella vista, oppure quella degli stracci per le pulizie Clendy. L'azienda, rea di aver in precedenza approvato una campagna pubblicitaria dove lo straccetto per pulire sarebbe servito a "Non lasciare traccia" dopo un femminicidio, ne ha fatta un'altra dove, questa volta, sfrutta il dramma degli abusi infantili con lo slogan che recita "Pulire non basta" e il volto triste di un bambino abusato.

Quello che è stato fatto, a livello comunicativo, è invertire i poli del messaggio per ottenere un significato opposto a quello della prima (e soppressa) campagna pubblicitaria. 

Se, infine, quella anti abortista di CitizenGo fa storcere il naso bisognerebbe affiancarla all'altrettanto forte campagna pro aborto dell'associazione Usa Women for Waves dove la pillola del giorno dopo viene definita "un dono di Dio" e donne discinte s'inginocchiano per averne la propria dose a prova che il sapiente uso di linguaggio iconico e slogan può raccontare tutto e il contrario di tutto.

Campagna choc degli antivaccinisti
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Barbara Massaro