Ischia
(Ansa)
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Sciannimanica: «Ad Ischia le colpe dell'abusivismo e di chi lo ha consentito»

L'ex Capo del Settore Urbanistica della Regione Campania dall'alto della sua esperienza nel settore ci racconta le male abitudini della politica locale, di certa parte della popolazione ed i problemi normativi che hanno portato alla strage della scorsa settimana

Bartolomeo Sciannimanica, dal 2005 al 2010 a capo del Settore urbanistica della Regione Campania che ha tra le sue competenze proprio il contrasto all’abusivismo edilizio, ricorda il suo impegno per l’isola: «Proprio ad Ischia, nel 2009, durante un abbattimento, due colleghi, funzionari del Settore urbanistica della Regione, furono minacciati di morte».

Panorama.it lo ha incontrato: «l’Italia continua a franare sotto i colpi della mala gestione del territorio, fatta di insufficienza normativa, incapacità del sistema politico, mancato sviluppo sostenibile».

Ingegnere Sciannimanica, l’Italia continua a franare…

«Purtroppo! E la colpa è quasi sempre dell’abusivismo edilizio, metafora della frana di tutto il sistema territoriale, ambientale, sociale, economico e politico del nostro paese. Il titolo di un mio saggio (“L’Italia che frana, Graus Editore, 2011) torna oggi come profetico. Drammaticamente, purtroppo».

La prende alla lontana…

«La mia può apparire una risposta sbrigativa e scontata, come se cercassi le responsabilità a tutti i livelli. Ma le cose stanno veramente così. L’Italia continua a franare “geologicamente” perché si fonda su un sistema che fa acqua da tutte le parti».

Lei era nella triade che gestiva l’emergenza, i drammatici “fuochi di Pianura”.

«Le faccio capire perché l’Italia frana. Alla fine dell’estate del 2009, quando dirigevo il Servizio urbanistico della Regione Campania, mi notificarono un verbale di riposizione dei sigilli ai cancelli per l’accesso all’area della discarica di Pianura, nel Comune di Napoli, datato 17 agosto. Tenga presenta che la discarica di Pianura fu oggetto di gravi tumulti tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Di quell’area ero stato nominato custode giudiziario nel 2002, quando dirigevo, per il Comune di Napoli, il Servizio ambiente: attività di custodia che condividevo con l’allora presidente della Regione Antonio Bassolino e l’allora Sindaco Rosa Russo Iervolino».

Insomma sedeva nella “stanza dei bottoni” in Campania…

«Non è questo. Il mio ruolo era tecnico e nella mia qualità mi preoccupai di informare il magistrato che aveva emesso il provvedimento, riferendogli che non avevo alcun mezzo adeguato per custodire quell’area, consigliandoli -perciò- di rivolgersi al comandante della Polizia municipale oppure ad uno dei comandi di Polizia presenti sul territorio, anche perché si temeva che sul territorio potessero avvenire sversamenti illegali. Alla mia comunicazione il magistrato non rispose per cui ero convinto che avesse seguito il mio consiglio e che la famigerata discarica fosse vigilata da chi più competente di me».

La procedura si era conclusa correttamente, presumiamo!

«Macché! Quel silenzio dopo la mia comunicazione -scoprii anni dopo- era il segnale che nulla si era mosso, che io ero ancora l’inconsapevole custode giudiziario della discarica che, intanto, si era riempita fino all’inverosimile, sino a scatenare i celebri “fuochi” di qualche anno dopo. Ha capito perché “l’Italia che frana” è la metafora di ogni mala gestio del nostro territorio?».

Abbiamo il sospetto che “la frana” sia ormai impossibile da arrestare, anche per carenza di risorse finanziarie

«Niente di più falso, perché esiste un fondo presso la Cassa Depositi e Prestiti, pari a cinquanta milioni di euro, a disposizione delle pubbliche amministrazioni, per abbattere gli abusi edilizi, tornati di moda dopo la tragedia di Ischia. Esiste almeno dal 2008, perché io l’ho utilizzato per gli abbattimenti di Casalnuovo (decine di fabbricati alti cinque piani) e per l’abbattimento di un porto turistico a Bacoli di oltre 150 posti barca. Il fondo, essendo rotativo, viene alimentato dal recupero dei costi delle demolizioni posti a carico degli autori degli abusi e quindi al momento continuano ad esserci cinquanta milioni di euro».

Ci fornisce dati certi. Verificheremo…

«Semplice: sul sito internet della Cassa Depositi e prestiti (https://www.cdp.it/sitointernet/page/it/fondo_demolizioni_opere_abusive?contentId=PRD9978) è possibile accertarsi della esistenza di queste somme e come con una semplice procedura le amministrazioni possono utilizzarle».

Se è così semplice come dice lei perché non si abbattono tutti gli abusi?

«Perché non c’è la volontà di farlo, tranne che per qualche sparuta demolizione che proprio per questo diventa notizia: in generale del controllo del territorio nessuno si vuole occupare. Durante la mia dirigenza del Settore urbanistica della Regione Campania, predisposi che un satellite fotografasse il territorio regionale ogni tre mesi, rilevando, ad ogni passaggio, le trasformazioni avvenute nel periodo precedente. Ciò consentiva all’amministrazione regionale, con dati alla mano, di interpellare i comuni, per chiedere loro le autorizzazioni edilizie associate alla trasformazione rilevata. In caso di risposta negativa o di mancata risposta si dava corso, da parte degli uffici regionali, alla procedura per accertare l’eventuale abuso edilizio e demolirlo».

La sentiamo agguerrito…

«Mi creda, c’ho messo la faccia. In Regione Campania sono vigenti due norme, che portano la mia firma, che prevedono la pubblicità per tutti gli atti connessi alla lotta all’abusivismo. La pubblicità è fondamentale per lottare gli illeciti; se tutti ne sono a conoscenza nessuno può dire “non lo sapevo”. Ciò vale per la magistratura, le forze dell’ordine, gli uffici comunali e territoriali, preposti al governo del territorio, gli organi di informazione».

Interessante, ce ne parli!

«La prima prevede che i responsabili comunali degli uffici competenti in materia di lotta all’abusivismo edilizio notifichino le ordinanze di demolizione a tutti gli uffici che erogano i servizi a rete (elettrica, idrica, fognante, ecc…) affinché i responsabili di detti uffici, in ottemperanza alla disposizione nazionale, che vieta l’erogazione di detti servizi, prevedendo anche responsabilità penali, messi a conoscenza degli abusi, non possano sottrarsi alla applicazione della norma perché informati».

E la seconda?

«Riguarda l’obbligo dei segretari comunali di comunicare alla Regione, mensilmente, l’elenco dei provvedimenti presi in materia di abusivismo edilizio. Anche questo obbligo deriva dalle norme nazionali. L’innovazione consiste nel rendere pubblico l’elenco dei segretari comunali che comunicano mensilmente l’elenco dei provvedimenti e, quindi, scoprire quelli che non la effettuano. Le norme citate si fondano sulla pubblicità e quindi sulla conoscenza, che rendono più difficile il proliferare delle illegalità».

Lei ha lasciato il servizio, ha notizia delle “sue” norme?

«Le “mie” norme sono tutt’ora vigenti, basta consultare il sito della Regione Campania, ma totalmente disattese, come i fatti, purtroppo, ci obbligano a constatare».

Tra normativa “ad hoc” e ricerca sul campo non si è fatto mancare nulla…

«Dire “lo avevo detto”, mi crea qualche imbarazzo. Ma io lo avevo detto! L’ho detto nel 2009, con un articolo su “La Repubblica” dal titolo “Di abusivismo si muore”; l’ho ripetuto nel 2011 nel mio libro “L’Italia che frana” con un capitolo “Speculiamo sui morti” - perché se non agiamo quando la tragedia è sotto i nostri occhi, presto ci dimenticheremo di tutto e continueremo con la medesima condotta … fino alla prossima tragedia. L’ho ripetuto nel 2019 nel mio libro “2020 – Paralipomeni de L’Italia che frana”».

Per il ruolo avuto, lei conosce Ischia più di un cittadino di Tarvisio.

«Per stare ai tragici fatti, direi che non è più sostenibile una condizione di illegalità diffusa, come quella presente sull’Isola d’Ischia. Proprio su questa meravigliosa isola, nel 2009, durante un abbattimento, due colleghi, funzionari del Settore urbanistica della Regione, furono minacciati di morte e per intimorirli, coloro che protestavano contro l’abbattimento, fecero scoppiare tre bombe carta. Per fortuna la presenza delle forze dell’ordine evitò che la vicenda assumesse tinte più tragiche».

Ed allora, che fare?

«Ritengo sia indispensabile un Decreto-Ischia, come è stato fatto per Genova, all’indomani della tragedia del Ponte Morandi. Quando le vicende sono complesse e provengono da un lungo periodo di illegalità, bisogna mettere un punto fermo che scongiuri non solo il ripetersi delle tragedie, ma anche il proseguire in condizioni di diffusa arbitrarietà. E’ necessario un provvedimento del Governo centrale, da fare nell’immediato, perché fra qualche giorno si argomenterà sull’intangibilità delle competenze territoriali, dimenticando che queste ultime esistono per governare meglio il territorio e non per alimentare l’incuria».

In cosa dovrebbe consistere questo Decreto?

«In un provvedimento nazionale che metta insieme tutti i comuni dell’Isola per redigere un solo piano da approvare con legge nazionale. Un piano che sia tutela del territorio e disposizioni per la crescita economica e sociale. Un piano che censisca fino al più recente degli abusi, per stabilire quali sono quelli condonabili e quali debbano essere demoliti. Per mitigare gli effetti delle demolizioni rispetto al fabbisogno abitativo, il piano deve comprendere un programma di edilizia residenziale pubblica e convenzionata».

Insomma, un piano urbanistico e territoriale unico per tutta l’isola di Ischia…

«Esatto, in modo da collocare i manufatti del programma di edilizia residenziale e convenzionata nelle parti più idonee dell’intero territorio ischitano, senza essere obbligati a rispettare i confini comunali. Un piano di edilizia residenziale, non significa realizzare brutte case o deturpare il territorio: l’edilizia residenziale può e deve essere anche bella ed addirittura, come è avvenuto all’inizio del secolo scorso, assumere un significato guida in campo architettonico ed ingegneristico».

Dalla tragedia una lezione per il futuro.

«Ischia potrebbe essere l’esempio concreto. Il soddisfacimento del fabbisogno abitativo, attraverso il programma di edilizia residenziale, mette fuori mercato l’abusivismo ed in generale il piano traccerebbe una linea di demarcazione con il passato, perché non si ritorni più indietro».

Quanto tempo occorrerebbe per redigere un tale piano?

«Se sostenuto da un provvedimento nazionale, un anno!».

Pugliese di nascita, calabrese d’adozione, vive ancora a Napoli. Esperienza forte, la sua!

«Chiunque compia un abuso edilizio non consegue soltanto il proprio interesse attraverso la realizzazione di un’opera illegittima, bensì divora un pezzo del bene comune, invade beni fondamentali come il paesaggio e in generale l’uso del territorio, soddisfa illegittimamente il legittimo diritto alla casa, lasciando coloro che rispettano la legge privi, non solo della casa, ma anche della spinta propulsiva per la risoluzione del problema: si avvantaggiano gli imprenditori disonesti creando un tessuto imprenditoriale fatto di soggetti propensi all’illegittimità».

***

Bartolomeo Sciannimanica, nato ad Acquaviva delle Fonti (Ba) e calabrese di adozione, classe 1949, ingegnere, è uno tra i principali consulenti nazionali di governo del territorio. Già docente presso la facoltà di Scienze ambientali dell’Università Carlo Bo di Urbino, ha diretto dapprima il Servizio progetti e ambiente del Comune di Napoli e poi il Settore urbanistica della Regione Campania: attualmente libero professionista e saggista, è stato per molti anni titolare dell’insegnamento di Ecologia nel corso di laurea in Scienze dell’Architettura della Federico II di Napoli. Nei suoi “L’Italia che frana (Graus editore, 2011) e “2020. Paralipomeni de l’Italia che frana” (Libreria Dante & Descartes, 2019), ha affrontato il tema del futuro sostenibile attraverso una corretta pianificazione urbanistica e territoriale.

Panorama.it Egidio Lorito, 04/12/2022

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