Caso Budroni, non è finita qui
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Caso Budroni, non è finita qui

Per Michele Paone, l'agente sospettato di aver ucciso a sangue freddo Dino Budroni sul Gra di Roma, chiesto il rinvio a giudizio

di Alessia Lai e Tommaso Della Longa

Gli atti sono stati depositati e la richiesta di rinvio a giudizio è arrivato. “Mirando alto e colpendo con uno dei due colpi il Budroni Bernardino” l’agente scelto Michele Paone poneva in essere un “comportamento altamente imperito e imprudente” uccidendo Dino, 39 anni, muratore, figlio, fratello. L’agente di polizia che esplose il colpo è ora indagato per omicidio colposo, ma nell’uso legittimo delle armi in base all’articolo 53 del codice penale, con in più “l’aggravante di aver agito nonostante le previsione dell’evento”.

Intanto sono soddisfatto del fatto che ci sarà il processo”, afferma l’avvocato della famiglia Budroni, Michele Monaco, perché non sarebbe il primo caso simile a essere archiviato. È importante che il pm, ci dice l’avvocato che ha rappresentato anche la famiglia di Gabriele Sandri, abbia individuato delle responsabilità “indagando per omicidio colposo  con previsione dell’evento”. Un’imputazione importante, che però non riesce a diradare le ombre, troppe, sul quel che è accaduto all’alba del 30 luglio 2011 sul Gra, a Roma, quando Dino Budroni venne ucciso da un colpo di pistola esploso dall’agente Paone durante un inseguimento in auto.

Forse al posto di “durante” andrebbe messo un “dopo”, perché dai rilievi infortunistici e dalle testimonianze dei presenti, tutti membri delle forze dell’ordine, in realtà sembra emergere, come supponemmo nei precedenti articoli sul caso, che i colpi siano stati esplosi a vetture praticamente ferme. Quel che accadde prima dell’inseguimento, Dino che dà in escandescenze fuori dall’abitazione della ex ragazza, che danneggia il portone e l’ascensore con la sua martellina da muratore lo ha fatto etichettare come “lo stalker” dai giornalisti di nera che l’anno scorso si occuparono del caso. Un aggettivo che pare quasi voler alleggerire l’esito drammatico di quella serata folle. Gli orari di quella serata si sovrappongono, non sono mai chiari, ma quello che conta, purtroppo, è solo quello che accade nel breve tratto di raccordo anulare all’alba del 30 luglio e che in pochi minuti ha segnato per sempre la vita della famiglia Budroni.

Considerata la dinamica dei fatti, come testimoniata dagli agenti presenti e confermata dai rilievi stradali, a non tornare, in questa vicenda, è più di un particolare. Nella perizia balistica, nella quale si afferma che il colpo mortale, il secondo esploso dall’agente di polizia Paone, avrebbe trapassato il torace di Dino mentre il giovane effettuava una brusca manovra, sterzando repentinamente verso destra, e a una velocità compresa fra gli 80 e i 50 km orari.

Tuttavia i rilievi sui danni subiti dalle vetture per la Ford di Dino parlano di un segno sul guardrail “compatibile non con un vero e proprio urto ma con una manovra di accostamento”. Se Dino fosse stato colpito a una velocità anche solo di 50 km orari, presumibilmente i danni alla vettura e i segni sul guardrail sarebbero stati di entità più rilevante di una semplice “strisciata”. La perizia balistica tuttavia continua a parlare di un fatto accaduto mentre le auto erano ancora in marcia, a una velocità rallentata rispetto ai quasi 200 chilometri all’ora testimoniati dai presenti, ma certo non bassissima. Non risulta siano state rilevate tracce di una brusca frenata che potrebbe giustificare un repentino rallentamento, e gli stessi testimoni, compreso l’agente Paone, parlano solo di bruschi scartamenti della macchina, i tentativi di Dino di speronare i suoi inseguitori. Tra l’altro una frenata brusca avrebbe causato presumibilmente la perdita di controllo dell’auto da parte di Dino e non certo un avvicinamento al guardrail che ha lasciato l’auto con danni limitatissimi. Il secondo colpo sarebbe poi stato esploso a una distanza più ravvicinata rispetto al primo, tra i 2,4 e i 4,6 metri, rispetto ai 4/5 del primo. Ma anche questo sembra non combaciare con l’ipotesi della brusca sterzata verso destra. Dà piuttosto l’impressione di un avvicinamento tra le due vetture. E non è tutto. Rimasto “segreto” fino al deposito degli atti, emerge il ritrovamento di una pistola a salve sul sedile dell’auto di Dino. Un dato mai riferito ai familiari né al loro avvocato fino alla decisione di rinvio a giudizio.

Ma è un dato che non riesce ad avere il valore del “colpo di scena”. Le fasi del ritrovamento, secondo quanto riportato nei verbali, pone più domande che risposte.  La pistola giocattolo non è stata vista da nessuno nella macchina di Dino, se non in una fase successiva all’estrazione del corpo dalla macchina, quando l’ispettore Cascio, membro dell’equipaggio della seconda volante della Polizia coinvolta nell’inseguimento, la ha rimessa nel posto nel quale afferma di averla trovata a una prima ispezione della vettura immediatamente dopo il fatto. Nessuno dei suoi colleghi, né delle volanti né della radiomobile carabinieri, ha visto la pistola a salve durante tutte le operazioni svolte attorno alla vettura nella quale ancora era accasciato Dino, in fin di vita. L’unico ad averla vista sul sedile è stato il poliziotto che la ha presa e messa nella propria volante, per poi riposizionarla nella presunta posizione originaria. Una pistola, della cui esistenza, peraltro i familiari erano ignari.

A leggere il fascicolo nella sua interezza, insomma, l’impressione è che le ipotesi iniziali restino confermate: la traiettoria del proiettile nel corpo di Dino è compatibile con una inclinazione del corpo verso destra che secondo la perizia balistica indica l’accompagnamento della brusca sterzata, ma che potrebbe invece corrispondere al gesto di un uomo che vedendo puntata su di se un’arma si getta sulla destra in modo istintivo, sollevando il braccio sinistro a proteggersi. E sulla pistola c’è poco da dire, quanto meno andrebbe chiesto al poliziotto che la ha ritrovata per quale ragione la abbia sottratta dalla Ford di Dino per poi rimettercela, peraltro in una posizione in realtà poco compatibile con una folle corsa a zig zag a 200 km all’ora, e cioè adagiata sul sedile del passeggero e non sul pavimento dell’auto come la martellina. Per l’avvocato della famiglia Budroni è comunque un dato irrilevante perché “nessuno ha visto Dino Budroni armato”. Lo dimostra il fatto che “nemmeno la difesa di Paone ha avuto interesse a rendere noto” il ritrovamento dell’arma-giocattolo. Anche perché, continua Monaco, se fosse stata  valutata utile a sminuire le colpe del poliziotto, la pistola “sarebbe di certo finita sui giornali” in qualche maniera. È fiducioso, il legale: “Se la pistola fosse stata giudicata rilevante, anche dallo stesso pm, staremmo parlando non di un processo ma di una archiviazione”.

Tutto vero, e condivisibile. Restano comunque i dubbi di una famiglia. Difficile arrendersi alle strategie processuali. Conoscere la reale dinamica dei fatti da un lato non riporterà Dino ai suoi cari. Ma per i suoi familiari, pensare che ci possa essere stato il tentativo di mistificare la scena della morte di Dino è un dolore in più. Ora, comunque, la famiglia Budroni attende di conoscere la data della prima udienza, pronta a rivivere il dolore, alla ricerca della verità.

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