Anche Cesare Battisti vuole uscire dal carcere
(Ansa, Ettore Ferrari)
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Anche Cesare Battisti vuole uscire dal carcere

L'ex terrorista rosso, in in cella dal gennaio 2019 dopo 38 anni di latitanza, chiede di andare ai domiciliari per motivi di salute e per il Covid-19. Una nuova grana per il ministro Bonafede

Cesare Battisti, 65 anni, ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo condannato all'ergastolo per quattro omicidi, ha chiesto oggi di scontare la pena in detenzione domiciliare in questa fase di epidemia da Covid-19. Detenuto dal gennaio 2019 nel carcere di massima sicurezza di Oristano, Battisti lamenta una epatite B e problemi polmonari, quindi ha le caratteristiche sanitarie per poter ottenere il passaggio alla detenzione domiciliare dal Tribunale di sorveglianza. Il suo avvocato, Davide Steccanella, ha richiesto che il condannato possa essere trasferito presso suoi parenti che vivono in Lazio: "Siamo in attesa della risposta del Tribunale" ha detto "ma non ci sono tempi precisi".

Se fosse concessa, la scarcerazione di Battisti andrebbe ad aggiungersi alle 376 che sono state decise nelle scorse settimane dai giudici di sorveglianza, e che hanno scatenato gravissime polemiche sulla testa del ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede. Per quelle polemiche, il 30 aprile è stato costretto alle dimissioni il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini. Contro le scarcerazioni, oltre che per l'incompetenza mostrata dal ministro, il centrodestra ha appena presentato una mozione di sfiducia individuale contro Bonafede, che dovrebbe essere discussa in Parlamento la prossima settimana.

Battisti è stato latitante dal 1981 al gennaio 2019, grazie alle anomale protezioni che gli sono state garantite prima dalla Francia e poi dal Brasile. Erano state sempre inutili le richieste di estradizione presentate dai governi italiani. In Francia, il latitante aveva goduto del sorprendente regime di tolleranza garantito a decine di terroristi rossi dal presidente Francois Mitterrand. In Brasile, era andata ancora peggio. Nel 2009 il ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, esponente trotzkista del Partito dei lavoratori che partecipava al governo di Luiz Inácio Lula, aveva negato l'estradizione di Battisti e gli aveva concesso addirittura lo status di rifugiato "per il fondato timore di una persecuzione politica".

Scrittori e intellettuali di mezzo mondo come Gabriel García Márquez, Fred Vargas, Daniel Pennac e Bernard-Henri Lévy facevano appelli per lui. Persino Carla Bruni, già première dame di Francia, protestava la sua innocenza. Di certo nessuno di loro aveva mai sfogliato le carte processuali o le sentenze che avevano condannato all'ergastolo Battisti, né la sua biografia da criminale comune, prima di trasformarsi in "primula rossa". A Parigi, Battista era divenuto un giallista di fama, e s'era trasformato in icona della gauche caviar parigina.

Ancora oggi nessuno sa spiegare perché la Francia sia stata tanto affettuosa con Battisti, che un pubblico ministero serio come Armando Spataro, proprio a Panorama, una volta aveva definito "un assassino puro". Gli ambienti parigini, soprattutto, erano stati convinti da una propaganda battente che l'Italia degli anni Settanta fosse simile a una cajenna giudiziaria, dove leggi autoritarie e una magistratura da ghigliottina avevano fatto scempio dello Stato di diritto per combattere e sconfiggere il terrorismo, rosso e nero. Era una evidente caricatura del reale, anche se in quegli anni qualche eccesso, effettivamente, c'era stato. Di certo, però, non c'era stato alcun eccesso giudiziario su Battisti, la cui intera storia criminale è intrisa di cinismo opportunista, trasformismo e violenza spesso gratuita.

Battisti era stato arrestato per furto la prima volta nel 1972 e poi per una rapina nel 1974. Era stato denunciato anche per atti di libidine violenta e per violenza privata. La sua "conversione politica" era avvenuta in carcere, a Udine, grazie all'incontro con un terrorista vero: Arrigo Cavallina. Ma l'impressione che gli inquirenti e i giudici hanno sempre avuto e trasmesso, negli atti giudiziari, è che l'attività eversiva condotta d Battisti all'interno dei Pac, i Proletari armati per il comunismo, fosse in gran parte strumentale: l'uomo rapinava e uccideva non sempre in nome di un ideale politico, per quanto farneticante, ma spesso per una ricerca (molto più terrena e razionale) di arricchimento.

Più facile da capire è perché per otto anni il Brasile di Lula e poi di Dilma Roussef abbia dato un vergognoso asilo politico di fatto a Battisti: questioni politiche, l'idea di poterlo usare (chissà) come strumento di pressione. L'atteggiamento era cambiato dall'agosto 2016, con il nuovo presidente Michel Temer. Tant'è vero che Battisti, annusata l'aria negativa, nel 2018 aveva preso la via della fuga in Bolivia. Qui era stato arrestato, e finalmente estradato in Italia. Dopo 38 anni di latitanza.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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