Addio mega aeroporti, l'Asia frena lo sviluppo di nuovi Hub
(Kevin Frayer, Getty Images)
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Addio mega aeroporti, l'Asia frena lo sviluppo di nuovi Hub

Il trasporto aereo è uno dei settori più penalizzato dall'epidemia di Coronavirus. E a pagare non sono solo le compagnie aeree ma anche gli stessi scali, che cambiano faccia

La pandemia di Coronavirus sta provocando una vera e propria rivoluzione nel settore del trasporto aereo, non soltanto per la messa a terra di intere flotte, ma anche nei sistemi aeroportuali di mezzo mondo. Questi si stanno trasformando rivedendo al ribasso i loro programmi di sviluppo e abbandonando per almeno un quinquennio il sistema Hub & Spoke, basato su mega scali dai quali si diramano collegamenti a corto raggio e reti auto-ferroviarie, per abbracciare il sistema Point to Point, più flessibile e adatto ai ridotti flussi di passeggeri e alle maggiori necessità di separazione tra le persone.

Del resto la caratteristica degli aeroporti che più preoccupa oggi è quella di essere in genere posti molto affollati.

In Asia, dove più che in altre parti del mondo si stavano costruendo nuovi mega scali, gli effetti della pandemia hanno quindi cominciato a condizionare le scelte per il futuro assetto dei terminal. Ne è un perfetto esempio l'aeroporto Changi di Singapore, fino a ieri un cantiere in piena attività: gru, escavatori e camion si muovevano senza sosta per costruire il quinto terminal passeggeri dell'aeroporto che avrebbe dovuto entrare in servizio nel 2030 con l'obiettivo di gestire 50 milioni di passeggeri l'anno. Erano cominciati anche i lavori di preparazione per realizzare la terza pista, ma nelle ultime settimane a causa delle misure imposte per frenare la diffusione del coronavirus la maggior parte dei lavori è stata interrotta. Un altro sito aeronauticamente molto celebre come il Changi Exhibition Centre, luogo dove si svolge l'Airshow di Singapore, è stato convertito in un vasto centro di recupero per le vittime del Covid-19 ed è stato chiuso il Terminal 2, anch'esso in fase di rifacimento.

Il punto è che la pandemia ha reso necessaria un'improvvisa inversione di marcia del settore aviazione civile, con una domanda di passeggeri in forte calo unita a un elenco sconcertante di restrizioni di viaggio che hanno di fatto smantellato i collegamenti presenti fino a gennaio.

I grandi aeroporti, brulicanti di viaggiatori, sono diventati oggi città fantasma. Come l'aeroporto di Hong Kong, con stand pieni di aerei parcheggiati e grandi hub vuoti a causa di un calo del del 95% del traffico registrato alla metà di aprile. Tra Singapore e Hong Kong prima dell'emergenza volavano 800 milioni di passeggeri l'anno, oggi ridotti al minimo e ai collegamenti cargo.

Tutto questo accade mentre gli aeroporti stavano organizzano progetti di espansione ambiziosi, come il citato Terminal 5 di Changi ma anche le nuove piste di Hong Kong, l'espansione del terminal di Bangkok o il progetto di Hong Kong New lanciato nel 2016, anno in cui il numero di passeggeri era salito oltre i 70,5 milioni.

Dunque la domanda che tutti gli operatori oggi si pongono è se rimarrà vivo il concetto e la necessità di disporre di mega aeroporti o se il trasporto aereo evolverà definitivamente verso un modello differente e più simile a quello europeo, ovvero con più collegamenti locali e meno concentrazione di voli in un singolo scalo.

Nel gennaio scorso le autorità di Tokyo avevano approvato la costruzione di una terza pista anche all'aeroporto di Narita, struttura che permetterebbe allo scalo di raggiungere la cifra di mezzo milione di slot, arrivando a movimentare 75 milioni di passeggeri l'anno tra il 2032 e il 2048, ma ora il cantiere si è fermato e non c'è alcuna certezza che i lavori riprendano con i medesimi obiettivi che si erano prefissati.

A capire che lo sviluppo del settore aviazione fosse esposto al pericolo di crisi dettate dagli assetti geopolitici prima che dalla pandemia erano invece stati gli Emirati Arabi, concretizzando questa idea rivedendo al ribasso il piano per costruire a Dubai il più grande aeroporto del mondo, uno scalo con una capacità annua di oltre 250 milioni di passeggeri. Si sarebbe chiamato Dubai World Central ma dopo vari rinvii è stato definitivamente cancellato.

Di fatto dal 2008 al 2019 il numero degli aeroporti che gestivano più di 40 milioni di passeggeri l'anno con il sistema Hub & Spoke è aumentato di oltre 20 volte, ma ora a spingere verso sistemi aeroportuali composti sono anche le esigenze di distanziamento fisico imposte dalle procedure di riduzione del contagio.

Negli Usa, dove gli aeroporti sono 5.800, è stato ridotto il numero di quelli aperti al traffico intercontinentale e di quelli destinati ai collegamenti regionali. Ma nessun aeroporto sarà definitivamente chiuso, così ha dichiarato la Federal Aviation Administration, autorità aeronautica di quella che è ancora considerata la "Aviation Nation" per antonomasia.

Risulta infatti evidente che mentre in caso di blocco di un hub a farne le spese siano intere regioni, in caso di chiusura di uno scalo, anche internazionale ma supportato da un sistema di aeroporti, gli altri possono continuare a funzionare senza isolare un'intera regione dal resto del mondo. Lo abbiamo visto proprio a casa nostra di questi tempi, con Malpensa e Fiumicino aperti e funzionanti seppure con meno voli, mentre Linate e Ciampino aperti soltanto a voli di stato e d'emergenza.

In realtà in Europa la tendenza del punto a punto è in atto ormai da una decina di anni, ovvero dal momento in cui si concluse la fase di espansione del sistema Hub & Spoke nata alla fine degli anni Novanta. Erano, quelli, tempi in cui vennero ampliati al massimo delle loro estensioni Monaco 2, Amsterdam Schipol e Parigi Charles de Gaulle, ed anche quando fu creata Malpensa facendo l'errore di non ammodernare il sistema delle piste e condannando di fatto il nostro secondo aeroporto a un limite fisiologico di movimenti. Limite che tuttavia, stante questa crisi, non sarà mai raggiunto in tempi brevi.

Saggia, invece, la decisione di non chiudere al traffico commerciale Linate, grande risorsa come city-airport, e di far crescere Bergamo Orio al Serio (che prima del Covid-19 galoppava con 13 milioni di passeggeri) come di non smantellare scali come Ciampino, Cuneo e Crotone. Dunque ancora una volta gli eventi smentiscono la necessità di chiudere gli scali, che seppure in attesa di traffico restano grandi risorse in tempi come questi, sia per collegamenti capillari, sia per potenzialità di sviluppo future.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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