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Ansa
Calcio

Inter, la panchina di lusso e il nuovo calcio

Conte ha una rosa in cui si può permettere di tenere fuori campioni. Come la Juve di questi anni e le big da sempre. Ma c'è chi lo ritiene un'ingiustizia competitiva...

Nell'autunno scorso, sconfitto a San Siro dalla Juventus, Antonio Conte si era lamentato della differenza di possibilità tra sé e Sarri che nel momento decisivo della partita aveva potuto pescare dalla panchina Higuain poi decisivo. Ora la situazione si è rovesciata ed è il pensiero venuto in mente guardando l'Inter ribaltare la Fiorentina in un secondo tempo in cui dalla lista delle riserve sono usciti (in rigoroso ordine di utilizzo) Hakimi, Sensi, Vidal, Nainggolan e Sanchez. Malcontati, oltre 100 milioni di euro di cartellini tenuti in caldo anche se Sanchez e Vidal sono arrivati a zero per gli intrecci di un mercato in cui conta alleggerirsi piuttosto che comprare.

Il salto di qualità della sfidante della Juventus è apparso chiaro già dalla lettura della prima formazione. In panchina c'erano quei cinque più Skriniar e Gagliardini, con De Vrij assente per squalifica. Difficile immaginare una potenza di fuoco superiore in Italia, compresa quella dei campioni d'Italia che pure si presentano al via con la solita rosa extralarge. Al netto di un calciomercato che potrà portare via qualche pedina (ma anche farne entrare altre), Conte ha avuto l'Inter che voleva: profonda, esperta e di qualità.

Il calcio post lockdown, con la possibilità di fare cinque cambi nel corso della gara, ha fatto il resto. C'è chi lamenta una sorta di ingiustizia perché si allarga la forbice tra i ricchi e i poveri, quasi che l'opulenza fosse un peccato da emendare. Non è così. Nello sport ricchezza e merito vanno a braccetto e non è un caso che l'Inter arrivi a potersi permettere una squadra così ampia nel mezzo del suo percorso di crescita, così come non è un caso che la Juventus dominatrice lo faccia e lo abbia fatto negli anni in cui ha riempito albo d'oro e casse sociali.

Del resto anche il Milan dell'era dorata di Silvio Berlusconi faceva razzia di talento e ricchezza. Comprava palloni d'oro per toglierli alla concorrenza, si poteva permettere di tenerli in panchina e di innescarli al momento giusto spaccando in due partite e campionati. Affermare che con cinque cambi "non è calcio" significa fare battaglia di retroguardia. In una stagione che per i grandi club può significare 60-65 partite in nove mesi ben vengano le panchine lunghe. Consentiranno di risparmiare qualche sforzo di troppo, gestire i campioni e magari consegnarli in condizioni accettabili a maggio quando toccherà alle nazionali inseguire il sogno dell'Europeo.

Infortuni e coronavirus sono un'incognita nei prossimi mesi. Meglio un calcio che consente di programmare e crearsi una riserva in caso di problemi, o un campionato appeso al caso e alla fatalità?

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Giovanni Capuano