walter chiari
Particolare della copertina del libro "100% Walter" edito da Baldini+Castoldi
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100 anni di Walter Chiari, intervista al figlio: «Ha dovuto fare il comico perché era irresistibile»

In occasione dell’uscita del libro 100% Walter – Chiari. Biografia di un genio irregolare, che sarà presentato al Sudestival di Monopoli, Simone Annicchiarico ci racconta suo padre: «Aveva il dono eccezionale di far sentire bene chiunque. Le donne? Lui scappava, erano loro ad andargli dietro». E ripensa ai guai giudiziari: «Ho ancora tantissima rabbia»

Un affabulatore, un gentiluomo, un giocoliere della comicità. Walter Chiari nasceva 100 anni fa, l’8 marzo 1924. «Era un artista della parola, del tempismo, della farsa, della smorfia, della metamorfosi, del reinventarsi giorno per giorno», dice di lui suo figlio Simone Annicchiarico nel libro 100% Walter – Chiari. Biografia di un genio irregolare (edizioni Baldini+Castoldi), scritto insieme all’autore televisivo e giornalista Michele Sancisi. In libreria in occasione del centenario, sarà presentato il 14 marzo al Sudestival, il Festival di Monopoli dedicato al cinema italiano, dove, in omaggio a Walter Chiari, saranno proiettati anche il doc Meglio esser chiari (2007) di Cecilia Formenti e il film Walter e i suoi cugini (1961) di Marino Girolami.

Difficile racchiudere l’estro guizzante di Walter Chiari in un libro, seppur di 480 pagine, ma scorrendo i racconti eccezionali della sua vita, sul palco, in famiglia, tra treni e aerei, riemergono la sua simpatia contagiosa, quel ciuffo malandrino su una fronte intelligente, l’aria gioviale da amico con cui tirar mattina. E si assapora anche il Walter Chiari battitore libero, il ritardatario cronico, l’eterno ragazzo, il generoso dalle mani bucate…

Figlio di umili pugliesi emigrati al Nord, nato a Verona, diventato milanese negli anni Trenta, Walter Chiari si affermò a fine anni ’40 come re della rivista. Poi l’esordio nel cinema, dove ha interpretato più di cento film diretto da Visconti, Risi, Monicelli, Scola, e l’exploit in tv, dagli anni ’50, in trasmissioni storiche come Canzonissima e Studio Uno. Quante risate ha dispensato! Indimenticabile lo sketch del Sarchiapone, che Chiari ogni volta proponeva arricchendolo di varianti e improvvisazioni.

67 anni vissuti a cento all’ora. Ma… due volte nella polvere, due volte sull'altar. Nel 1970 i primi guai giudiziari, con l’arresto per detenzione e spaccio di droga, a cui seguì l’assoluzione dall’accusa di spaccio. Allontanato dal mondo dello spettacolo, riuscì faticosamente a riconquistare prestigio nel cinema e nel teatro. Ma quattordici anni dopo, nel 1984, come scrive Sancisi nella biografia, «scivola in un’altra botola aperta sul suo cammino»: un pentito, lo stesso che accusava Enzo Tortora, lo rimandò davanti ai giudici accusandolo nuovamente di commerciare cocaina. Assolto già in istruttoria, Walter Chiari ne uscì comunque distrutto. Ma non perse mai sagacia e un’educata irriverenza. Sulla sua lapide voleva la scritta - mai scolpita - «Non piangete amici, è solo sonno arretrato».

Da Simone Annicchiarico, che aveva 20 anni quando Walter Chiari, nel 1991, se ne andò, ci facciamo raccontare in questa intervista il suo babbo eccezionale. E a pie’ pagina presentiamo un estratto del libro 100% Walter – Chiari. Biografia di un genio irregolare.

Come nasce questo libro?
«In realtà è nato una quindicina d'anni fa. Allora mi aveva contattato un’altra casa editrice, la Kowalski, dicendomi: “Non esistono libri su tuo padre, se non uno degli anni ‘70 non esaustivo, ti va di scrivere qualcosa?”. E avevo iniziato, ma poi persi la pennetta che conteneva quattro capitoli e mi sono fermato: non potevo rimettermi a scrivere pagine buttate giù di pancia. Sepolto questo tentativo, alcuni anni dopo la Baldini Castoldi Dalai, oggi Baldini+Castoldi, mi ha proposto di rimettermi su quel libro. E piano piano l’ho finito, grazie a Dio: è una delle poche cose che sono riuscito a finire in vita mia, di solito lascio tutto a metà, quindi è stata un'emozione particolare».

Nell’introduzione scrivi che «Walter Chiari era e non era», «presente come un macigno sulla scena mediatica italiana del dopoguerra, ma in realtà non c’era». Puoi spiegarci?
«Perché era introvabile. Allora non c'era il cellulare ed era impossibile riuscire a trovarlo perché a casa sua non esisteva, andava sempre a dormire da amici. Comprava case, probabilmente per investimento, ma era come se non esistessero: ci metteva dentro vestiti e robe varie, ma poi non lo vedevi mai lì. “Ma dov’è?”, chiedevano. “A Milano”, “ma dove?”, “forse a casa di Visconti”, “ah, no, è a casa di Pillitteri”. Se non si faceva sentire lui era impossibile rintracciarlo».

Simone Annichiarico, 24 febbraio 2012, Roma. (Foto Ansa/Gioia Botteghi)

E com’era il Walter privato?
«Era come il Walter pubblico. Quando sedeva sul palco non si metteva nessuna maschera, non si preparava. Anzi, il Walter privato era il Walter pubblico senza censure e senza orari, quindi poteva andare avanti all'infinito, senza limiti di minutaggio, e tu ascoltavi affascinato. Tutti erano affascinati da Walter, perché aveva il dono eccezionale di far ridere e far sentire bene chiunque. Quando lo vedevi sapevi che avresti passato ore e ore a divertirti e ad ascoltare una persona interessante. È stata veramente una bella avventura. Una bella persona, un personaggio incredibile, e non lo dico perché era mio padre. Chiunque l'abbia conosciuto può dire le stesse cose che dico io».

A proposito, nel libro c’è una nota introduttiva che sa di perla rara, di Mina, che dispensa parole affettuose verso tuo padre…
«Ho pensato immediatamente di contattare Mina ma so bene come la pensa, che non vuole apparire, e sono assolutamente sulla sua linea: ammiro molto le persone che a un certo punto autodeterminano il loro successo. Quando l’ho chiamata e le ho chiesto gentilmente un contributo sono stato filtrato da suo figlio che si è raccomandato: “Sai che mia madre non ama parlare, sai che Walter è una cosa particolare per lei”. Mi ha pregato di stare molto attento. Credo che tra mio padre e Mina sia stato un grande amore, si volevano veramente bene, si piacevano tanto, senza obblighi. Un amore molto vero tra due persone che si ammiravano e rispettavano. È stato un bel legame. Poi, come ho già detto, mio padre spariva, da un giorno all'altro non si vedeva più per riapparire magari l'anno dopo o mesi dopo, quindi era difficile stargli dietro».


L'attrice americana Ava Gardner accompagnata da Walter Chiari, nell'atelier delle sorelle Fontana a Roma (Foto: Ansa)

Ha conquistato donne bellissime, tua madre Alida Chelli, certo, e poi Delia Scala, Anita Ekberg, Anna Magnani, Lucia Bosé, Ava Gardner, Marisa Maresca… Ma nel libro si dice che non era il classico maschio latino…
«Esatto, mio padre scappava dalle donne, erano loro ad andargli dietro».

E scappava anche come padre?
«No, quando c'era ti assicuro che riempiva tutto. Era eccezionale, non ha mai fatto qualcosa perché doveva farlo, come padre che doveva portare il figlio in un tal posto. È stato tutto naturale e bellissimo, con i tempi giusti, tutto come doveva andare. Ognuno ha fatto la propria vita, ognuno si è divertito, mia madre, io, ognuno con la propria personalità. Nessuno ha mai detto all'altro cosa dovesse fare, nessuno ha mai avuto pressioni. Sono stato fortunatissimo».

Come artista Walter Chiari era un affabulatore dalla dialettica incredibile. Era famoso per gli spettacoli dilatati che mandavano a casa il pubblico all’una di notte, stanco ma felice. Ma quale era secondo te la sua qualità principale?
«La qualità principale era che, a differenza di molti altri comici italiani, lui era veramente un comico. Walter era uno che faceva ridere nella vita: ha dovuto fare il comico perché era irresistibile, troppo divertente. Così è stato agli inizi: quando andò a vedere uno spettacolo al Teatro Olimpia di Milano, in una serata in cui mancava il capocomico, gli amici lo buttarono sul palco ed è lì che è diventato Walter Chiari. Quelli del teatro di rivista l’hanno subito notato, gli hanno chiesto nome e cognome, che lavoro facesse. Allora era magazziniere all'Isotta Fraschini. Due giorni dopo Marisa Maresca l’ha preso con sé. Non ha studiato da comico, non andava a vedere i comici col sogno di fare il comico. Prima ha fatto il pugile, poi il magazziniere, ma intanto continuava a fare le sue scenette, inventava personaggi, nel dopo lavoro faceva sketch col fratello Osvaldo. Era già un comico e doveva fare il comico. Ecco, non c’è distinzione tra il Walter Chiari uomo e il Walter Chiari comico: era così come lo vedevi in televisione, era quello lì».

Dagli sketch sul Sarchiapone, che tuttora fanno morir dal ridere, al dongiovanni cialtrone nel film Bellissima di Luchino Visconti, qual è lo spettacolo di tuo padre che ami di più?
«Il Sarchiapone rimane eterno perché prende in giro l’idiosincrasia dell'italiano che non sa una cosa però la insegna, non sa niente ma vuole mettere parola ovunque: è geniale. Come film, invece, il più bello, che secondo me oggi è ancora universalmente adatto, è Il giovedì di Dino Risi, forse l'unico film di Risi che non è ancorato agli anni ’60 e al boom dell’epoca, libero da ogni schema. È il racconto di un padre con un figlio: funziona oggi come poteva funzionare negli anni ’20, come funzionerà tra trent'anni. Credo che sia veramente bello».

Ex pugile, Walter Chiari di pugni ne ha presi… Tu sei nato proprio nel 1970, nell’anno dei suoi primi guai giudiziari, quando poi il mondo dello spettacolo ha iniziato a metterlo da parte.
«Eh, siamo in Italia. Hanno messo dentro anche Tortora per niente. Quando c'è qualcosa che bolle in pentola per distrarre sbattono il mostro in prima pagina. Poverino, gli ha detto proprio male».

Provi tuttora rabbia?
«Sì, tantissima per quello Stato lì. Per come la vedo io, soprattutto la famiglia di Tortora dovrebbe prendere un vitalizio dallo Stato. È assurdo dire a uno che è un camorrista, a mio padre che è uno spacciatore: tra l’altro era gente ricca sfondata, che bisogno aveva uno di fare il camorrista e l’altro di spacciare? Quei magistrati là dove sono adesso?».

Nel libro ci sono diversi aneddoti spassosi. Ce ne puoi anticipare uno qui brevemente?
«Quello del volo Roma-Olbia del 1978. Mio padre era in aereo, che però era fermo da due ore sulla pista, in ritardo. Era agosto e faceva un gran caldo e a bordo tutti si lagnavano. Allora, stanco di sentire tutti questi lamenti, a un certo punto si alza, va in cabina di pilotaggio, prende il microfono e fa finta di essere uno steward. Da lì comincia un’ora di show incredibile».

Ci sono oggi eredi di Walter Chiari?
«No e non ci possono essere, perché le gente di quegli anni aveva vissuto la seconda guerra mondiale e il fascismo, la loro comicità veniva da un riscatto sociale fortissimo e dalla voglia di ritornare a vivere. Quella di oggi è totalmente un'altra comicità, molto più volgare e dozzinale, tutta incentrata su frasi che si ripetono all'infinito. Non c’è l’erede di Walter Chiari ma non c’è neanche quello di Gassman, di Tognazzi, di Sordi, di Totò, di De Sica. E grazie a Dio che non ci sono, perché sono un unicum».

Walter Chiari conduce accanto a Ornella Vanoni il varietà televisivo "L'appuntamento", Roma, 31 gennaio 1973 (Foto: Ansa)






Ecco un estratto del libro100% Walter – Chiari. Biografia di un genio irregolare di Simone Annicchiarico e Michele Sancisi. Per gentile concessione di Baldini+Castoldi.

WALTER E LA GENEROSITÀ

Ancora oggi c’è gente che mi ferma e mi dice: «Ma lo sai che tuo papà quando Lucia Bosé era malata ha noleggiato per un giorno un aereo di linea ed è volato da Roma a Milano andata e ritorno solo per portarle un mazzo di fiori?» Ed è la verità: ha noleggiato un aereo su cui ha viaggiato da unico passeggero per portare lui stesso i fiori alla donna che forse ha amato più di tutte. Oppure: «Ah… il tuo babbo… Pensa che se aveva un buco di uno o due giorni durante gli spettacoli prendeva il primo aereo e andava a trovare Ava Gardner a Los Angeles, dopodiché tornava il giorno dopo». Praticamente passava più ore sull’aereo che con Ava (ma sono sicuro ne valesse la pena). Erano gli anni Cinquanta, e il babbo guadagnava più di chiunque altro nel mondo dello spettacolo; il problema è che era anche quello che sperperava più di chiunque altro nel mondo dello spettacolo.
Di lui Indro Montanelli, che lo conosceva bene, disse: «Un tribunale serio ti darebbe trent’anni per lo sperpero che fai del tuo talento. Una bestemmia contro chi te l’ha dato, un furto ai danni del pubblico». Be’, il talento non è l’unica cosa che ha profuso in eccesso. Nel campo della vita materiale era la quintessenza dello sperpero cosmico. Per lui la proprietà privata non esisteva, non aveva alcuna considerazione per un oggetto caro, neppure i premi ricevuti, che usava come fermaporte o schiaccianoci, per non parlare dell’automobile, totem degli italiani che lui non ha mai avuto, oppure la casetta dove tornare stanchi dopo una giornata di lavoro per abbandonarsi ai propri hobby. No, lui era di tutti e tutto era suo. Era il suo modus vivendi, del quale qualcuno dei suoi infiniti amici ha pure approfittato. Anche la sua generosità subiva quel tasso di distrazione che accompagnò Walter in tutta la sua vita. Una distrazione genuina, endemica, contagiosa, che garantiva al babbo, in una sola giornata, dieci appuntamenti con amici, cinque di lavoro, sette pranzi, otto cene e tre incontri galanti. Ovviamente, non avendo il dono dell’ubiquità come Padre Pio, il Walter ne poteva rispettare due, massimo tre al giorno, alimentando così una schiera di amici-parenti-colleghi risentiti. Ma lui non lo faceva apposta: aveva la totale incapacità di dire no e il vizietto di voler accontentare tutti. Voi direte «ma così finiva per farsi odiare da tutti» e invece no, questo era incredibile: Walter magari ti dava cinque buche di seguito, ma quando arrivava, come la più grande delle puttane storiche, ti faceva un «servizietto» che ti bastava per mesi. Questa era la sua risorsa, riuscire sempre a farsi perdonare. Che paraculo!
La sua generosità, qualche volta, si tramutava in siparietti bizzarri. Un giorno incontrai in un locale milanese Giorgio Porcaro (per chi non lo sapesse, era il comico che aveva inventato la parlata del «terrunciello», che fece la fortuna di Abatantuono). Mi raccontò che con Teocoli e altri del Derby una sera andò a vedere il babbo a teatro. «Era il nostro mito. Finito lo spettacolo, lo aspettiamo all’uscita per fargli i complimenti. Eravamo dei barboni in confronto a lui, vestiti male, capelli lunghi e sporchi, più che comici sembravamo emigranti in cerca di fortuna. Gli spieghiamo che siamo attori comici anche noi, e che ci piacerebbe che venisse a vederci al Derby. Be’, tuo padre appena ha sentito queste parole ha chiamato il suo impresario, si è fatto dare qualcosa ed è tornato da noi… era metà dell’incasso del suo spettacolo! E credimi Simone, erano tanti, ma tanti soldi! Il problema è che siamo tornati lì ogni sera! E ogni sera quell’uomo ci pagava, ci dava i soldi, ci faceva mangiare e ci permetteva di offrire cena e cinema alle nostre ragazze…».


Copertina del libro "100% Walter" edito da Baldini+Castoldi

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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