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Panatta: «Sono stato uno dei Fantastici 4»

Viaggio ragionato nel tennis di ieri e oggi tra aneddoti inediti e amarcord, guidati dall’Adriano nazionale. Che arriva in tv con un docufilm sulla storica vittoria in Coppa Davis nel 1976 in Cile, durante il regime di Pinochet. A Panorama racconta la sua vita, aneddoti inediti e cosa pensa del tennis oggi.

Si è raccontato diverse volte di quanto la partecipazione trionfale della nazionale italiana di tennis alla finale di Coppa Davis del 1976, organizzata in casa degli sfidanti a Santiago del Cile, sia stata oggetto di polemiche da parte di chi nel nostro Paese sosteneva che, presentandosi, si sarebbe data sponda alla propaganda di Pinochet per dimostrare al mondo di non essere un dittatore. Ed è anche stato raccontato nel documentario La maglietta rossa di Mimmo Calopresti come la decisione di Adriano Panatta e Paolo Bertolucci di vestire inusuali t-shirt color vermiglio nell’incontro di doppio sia stato il tentativo, non riportato da alcun organo di stampa dell’epoca, di protestare simbolicamente contro l’autoritarismo di estrema destra. La serie tv in sei puntate Una squadra, in onda su Sky Documentaries dal 14 maggio, non racconta però soltanto il lato politico della vicenda, ma si concentra anche sul ritratto dei protagonisti (oltre a Panatta e Bertolucci, il capitano Nicola Pietrangeli, il singolarista Corrado Barazzutti e la «riserva» Antonio Zugarelli), capaci dopo quella vittoria di raggiungere altre tre finali. Racconta anche uno sport, il tennis, che in quasi 50 anni è cambiato moltissimo, insieme ai suoi campioni. «Io e Paolo eravamo molto amici fin da ragazzini» racconta Adriano Panatta, 72 anni il prossimo 9 luglio, indiscussa stella di quel team, come dimostrato con le due vittorie proprio nel 1976 agli Internazionali d’Italia a Roma e al Roland Garros a Parigi. «Per un periodo abbiamo vissuto insieme nello stesso appartamento: io cucinavo e lui rassettava. Avevamo un carattere diverso, ma complementare: io ero più rompiscatole e lui serafico e paziente. Sembravamo la strana coppia di Walter Matthau e Jack Lemmon».

Nella serie si racconta di quando prendeste un Concorde tornando da un torneo in Sudamerica per andare a trovare delle vostre amiche a Parigi prima di rientrare in Italia.

Eravamo dei professionisti, ci allenavamo con serietà. Ma lasciavamo spazio per qualche svago. Per me è sempre stato uno stile di vita, anche quando ho smesso di giocare, perché non sono mai stato monotematico. Le persone maniacali mi fanno orrore.

Mi descrive gli altri componenti della squadra?

Barazzutti sulla terra battuta era uno dei più forti al mondo. Era un ragazzo perbene, aveva una grande grinta, ma era un po’ troppo brontolone. Zugarelli era molto riservato, un giocatore eclettico, capace di farsi valere su più superfici con il suo gioco a rete molto istintivo. Pietrangeli sposava di più la mia filosofia del divertimento ed era stato un giocatore eccezionale: con quel fisico avrebbe potuto eccellere in qualsiasi sport. Anche se sul modo di essere capitano non la pensavamo allo stesso modo.

Perché?

Lui sosteneva che il capitano dovesse porgere l’asciugamano con gentilezza ai giocatori. Quando invece sono stato io capitano in Coppa Davis (dal 1984 al 1997, ndr) parlavo continuamente, cercando di trovare la migliore tattica per vincere. Un po’ come facevo quando giocavo in doppio con Paolo, che bontà sua, mi sopportava. Ammetto che allora esageravo.

Mi faccia un esempio?

Io e Paolo giocavamo la semifinale di doppio nel 1976 contro l’Inghilterra a Londra. John Lloyd, che giocava col fratello David, era fortissimo sul dritto e debole sul rovescio. Gli ho tirato la palla per tutta la partita sul dritto, nonostante Paolo mi dicesse di insistere sul rovescio. E alla fine abbiamo perso. Per fortuna mi sono rifatto vincendo il singolare il giorno dopo.

Perché si comportò così?

Ero convinto che avremmo vinto lo stesso. È stata una cretinata, tra l’altro poco nel mio stile, visto che ho sempre giocato sfruttando le debolezze dei miei avversari.

Chi ricorda con nostalgia dei campioni della sua epoca?

Con Björn Borg ci sentiamo ancora ogni tanto, siamo rimasti amici, e lo stesso accade con Ilie Nastase: quando ci ritroviamo due volte l’anno è come se avessimo smesso di giocare un giorno prima. Ho un bellissimo ricordo di Vitas Gerulaitis, americano, un ragazzo bravissimo e molto simpatico. Ero in ottimi rapporti con tanti altri, poi però li ho persi di vista perché io non faccio come altri ex tennisti che vanno a tutti i tornei. Al massimo vado a vedere il Roland Garros, in questo sono molto discreto.

È per questo che ha scelto di andare a vivere a Treviso anziché rimanere a Roma che è la sua città?

Se Treviso sia discreta non lo so: si ricordi che è dove Pietro Germi girò Signore & Signori (una commedia su corna e gossip, ndr). Di certo però è una città tranquilla, molto diversa da Roma. Comunque mi ci sono trasferito dopo che ho incontrato Anna (Bonamigo, avvocato, sposata a Venezia due anni fa, ndr), con cui vorrei condividere l’ultima parte della mia vita.

Com’è cambiato oggi il tennis rispetto a quello dei suoi tempi?

È totalmente diverso, come tutta la società: è tutto più veloce e nevrotico. All’epoca magari si finiva un match sul centrale di Parigi e un’ora dopo si andava a mangiare un gelato al bar insieme al pubblico, oggi i giocatori sono blindati, ma non capisco perché: sembra facciano chissà cosa, e invece giocano solo a tennis. Trovo davvero ridicolo prendersi così sul serio.

Colpisce, nella serie, vedere Gianni Minà che la intervista durante il cambio di campo della finale con Vilas che lei vinse a Roma. Un esempio dei nuovi tempi?

No guardi, quella cosa era bizzarra anche a quell’epoca. Se l’avesse fatto un altro lo avrei mandato a quel paese, ma Gianni era un amico e una persona troppo carina oltre che un ottimo giornalista.

Lei è stato un maestro del serve and volley. Ora che si avvicina il ritiro di Federer, chi onorerà il vostro tennis?

Non ci sarà credo mai più nessuno come Roger, secondo me è quello che ha giocato il tennis migliore di sempre. Ora c’è stata un’evoluzione verso colpi della palla sempre più forti, ma sono convinto che prima o poi tornerà in auge un tennista votato a giocare a rete. Per esempio, guardi la palla corta: sembrava un colpo sparito dalla circolazione, e invece ho visto che molti lo hanno rispolverato.

Come sono i giocatori italiani di oggi?

Devo dire che mi piacciono molto Matteo Berrettini, Jannik Sinner, Lorenzo Sonego e Lorenzo Musetti. Sono convinto che non abbiamo mai avuto giocatori italiani così forti e potremmo tornare a vincere dopo tanti anni la Coppa Davis. Anche se...

Anche se?

La Coppa Davis non è più quella dei miei tempi, hanno stravolto la formula soltanto per motivi economici. E secondo me è un vero scempio.

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Francesco D'Errico