Vincenzo Ferrera: «Il fenomeno Mare Fuori, la gavetta e la vita che ti sorprende»
Ufficio Stampa/Alessandro Rabboni
Televisione

Vincenzo Ferrera: «Il fenomeno Mare Fuori, la gavetta e la vita che ti sorprende»

Intervista all'attore della serie di Rai2 (che su RaiPlay ha toccato i 105 milioni di visualizzazioni), nella quale interpreta l'educatore Beppe. Dopo quasi trent'anni di teatro e tv, la popolarità gli è esplosa tra le mani. «Ma volo basso perché ho imparato che la caduta dall’alto fa male»

Che Mare Fuori sia uno de fenomeni televisivi delle ultime stagioni è una delle poche certezze di questa tv sempre più frammentata. Piace ai giovani e agli adulti, è un successo senza precedenti su RaiPlay (oltre 105 milioni di visualizzazioni), ha il merito di parlare di un tema poco esplorato – la vita in un istituto penitenziario minorile - e di aver reso popolari attori di grande talento. Tra questi c’è senza dubbio Vincenzo Ferrera, attore palermitano dal clamoroso curriculum teatrale (ha lavorato con registi importanti, da Cecchi a Servillo, da Andò a Martone) e dalla lunga esperienza in fiction di successo, da Un medico in famiglia a Distretto di polizia. Ma dopo quasi trent’anni di lavoro, la grande visibilità è arrivata con la serie di Rai2 prodotta di Picomedia. «E pensare che nella prima stagione un punto in meno di share sarebbe bastato a cancellare la serie. Invece il passaparola è diventato una marea, il passaggio a Netflix l’ha consacrata. Come sa essere imprevedibile la vita», racconta a Panorama.it.

Mare Fuori è stata ormai consacrata a serie fenomeno. Quando ha avuto la percezione che il successo vi fosse scoppiato tra le mani?

«Ricordo bene quando girammo la prima stagione: uscendo dal set, alla base navale della Marina Militare di Napoli, non c’era mai nessuno. Tutto ad un tratto, ci siamo ritrovati ogni giorno 200/300 persone davanti ai cancelli. Prima tornavo in hotel a piedi, da un po’ di tempo c’è una macchina aspetta anche me».

Si è preparati a gestire il successo improvviso?

«No, anche se nel mio caso c’è molto disincanto. So tutelarmi perché ho imparato che la caduta dall’alto fa male. Ma ai ragazzi ha stravolto la vita, camminano col cappellino e gli occhiali da sole per non farsi assediare».

Che consigli gli dà?

«A dei ragazzi di vent’anni cosa vuoi dire? Gli dico di godersi ogni singolo momento ma al tempo stesso di lavorare sul carattere: la recitazione è una vocazione che richiede disciplina e solo grazie a quella ti proteggi e puoi continuare a lavorare».

Perché secondo lei Mare fuori è diventato un fenomeno?

«Sono palermitano e mi ricordo bene che impatto ebbe Mery per sempre quando uscì al cinema. Anche quel film parlava di disagio giovanile, creava nei giovani un senso di colpa strano. I ragazzi che guardano Mare Fuori scoprono che nel carcere di Nisida c’è davvero chi vive così come lo raccontiamo in Mare fuori. E traballano. E poi c’è altro».

Dica.

«Una contaminazione esplosiva tra bellezza e bravura: questi ragazzi sono molto belli ma soprattutto molto talentosi. Senza dimenticare le scelte coraggiose degli sceneggiatori: gli eroi, anche quelli negativi, escono di scena e non tornano. Questo rende il racconto reale».

Lei intrepreta Beppe Romano, un educatore dell’IPM, buono, stimato, a volte troppo ingenuo. Tutti i ragazzi secondo lui hanno diritto a una seconda possibilità.

«Dall’esterno, anche riguardandomi, Bruno mi fa tenerezza e mi commuove. È un ruolo complesso, sfaccettato, che passa dalla commedia al dramma. Mi diverto a farlo».

“Ho molta stima e sono fiero di vestire i suoi panni”, ha detto in un’intervista. Quante volte invece le è capitato di non stimare un personaggio che interpretava?

«Sinceramente mai. Ho la faccia da buono e così i cattivi non me li hanno mai appioppati. Anzi, sono sincero: vorrei tanto fare il cattivo e ribaltare qualche cliché. Anche quelli con le facce da buoni possono interpretarli».

Le è mai capitato di entrare in un istituto di detenzione minorile?

«Non mi è mai successo ma ho ricevuto moltissimi inviti negli ultimi mesi. I ragazzi degli IPM ci guardano e ci apprezzano. Mi hanno scritto per altro decine di educatori che si rivedono in Beppe e questo mi fa molto piacere: significa che pur non ispirandomi a nessuno, ho centrato il personaggio».

Quando la fermano per strada, cosa le chiedono?

«“Ma Ciro quando torna?”. E poi mi chiedono un abbraccio, quasi volessero consolare Beppe».

Il messaggio più inaspettato che ha ricevuto?

«Uno recita e gioca non pensando di avere una responsabilità etica. Invece ho inconsapevolmente mandato un messaggio che va oltre il mio personaggio: diverse persone mi hanno scritto dicendomi “voglio fare l’educatore, voglio diventare come Beppe”. Più di questo cosa posso chiedere? Ho beccato la corda giusta».

Il suo curriculum teatrale è impressionante. Ha lavorato tra gli altri con Carlo Cecchi, Maurizio Scaparro, Toni Servillo, Mario Martone, Roberto Andò. Da ragazzino cosa sognava?

«Ho un padre medico e mi affascinava la medicina. Lo spirito esibizionista e il talento l’ho coltivato per caso tra laboratori di teatro e scuole di recitazione. Non so tra quelli che “avrei potuto fare solo l’attore” ma poi ho cavalcato la mia vocazione».

Ossia?

«Ho iniziato subito a lavorare, sei mesi di tournée senza sosta. Ho capito che quella era la strada giusta e ho fatto subito i conti con i sacrifici, le soddisfazioni, le delusioni».

C’è stata una delusione così forte da farle pensare “mollo tutto”?

«Mai. Se lo pensi hai sbagliato tutto. Questo è un mestiere che ti giudica fino ai 90 anni e mediamente solo il 20% dei provini va bene. Bisogna avere grande carattere».

Nel ‘99 girò la sua prima serie tv con Alberto Sironi, geniale regista di Montalbano. Cosa ricorda di quel set?

«Era una piccola parte ma l’emozione era enorme. Ricordo la mia totale inesperienza con la cinepresa e il mio modo ridondante di declamare le battute. Sironi mi prese da parte e mi spiegò con pazienza come mettermi e come gestire tutto».

Da quel momento non si è più fermato.


«La prima vera occasione da protagonista arrivò poco dopo, era una fiction con Elena Sofia Ricci e Michele Placido. Fu subito una delusione: all’epoca i grandi successi facevano 10 milioni di ascolto, noi ci fermammo a 6 e dunque non fecero mai una seconda stagione».

C’è un no di cui è pentito?

(ride) «In passato non ho avuto possibilità di dire no, sono sincero. Ho fatto scelte di grande coerenza, ma non sono tra quelli che hanno detto tanti no».

Grazie a Mare Fuori sono arrivate più proposte?

«Il lavoro è aumentato e sono strafelice di questo. Ora sono sul set de Il caso Claps, diretto da Marco Pontecorvo, che andrà in onda su Rai1. È bello che le produzioni, i registi e anche i colleghi si accorgano del tuo lavoro. Mare fuori mi fa stare bene, ora forse avrò la possibilità di fare qualche scelta coraggiosa in più».

Il grande sogno?

«Sognavo di girare un film con Bertolucci ma non ci sono riuscito. Spero di riuscirci invece con Sorrentino o Tornatore».

Intanto a maggio sarà sul set di Mare fuori 4.

«Ma non so nulla ancora di preciso. Si parla già di quinta o sesta stagione ma vedremo cosa succede a Beppe. Io, intanto, mi godo questo momento speciale».

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Francesco Canino