Tasse troppo alte per salari troppo bassi
In dieci anni sono aumentate del 3,2%, mentre i salari solo del 2%. Il presidente di Confindustria Squinzi lancia l'allarme: pressione fiscale al 55%
Con l'attuazione delle misure previste dalle ultime manovre "la pressione fiscale italiana si collocherebbe intorno al 45%, rispetto al 42,1% del 2011; 45% che diventa 55% se il calcolo viene fatto sottraendo il Pil sommerso". Detto altrimenti: più della metà dello stipendio di un lavoratore finisce in mano allo Stato, tra tasse e imposte di vario tipo.
Lo ha detto ieri il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi, durante un’audizione alla Camera. Quasi a ricordare alla classe politica che è lì che bisogna intervenire per risollevare il paese. Del resto le cifre squadernate dal numero uno degli industriali, e proprietario della Mapei , non sono affatto nuove agli addetti ai lavori.
Le aveva già rese note, tra gli altri, anche la Confcommercio lo scorso luglio (qui il rapporto integrale) aggiungendo però tra le cause dell'enorme peso del fisco sulle spalle degli italiani anche le dimensioni del sommerso, che in Italia si aggirerebbe attorno al 17,5% del Pil - non c’è unanimità, però, tra i vari centri studi sulla grandezza reale dell’economia in nero.
Tuttavia, l’associazione dei commercianti rilevava lo stesso che "questo valore non solo è il più elevato nella nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto". Considerando la pressione fiscale effettiva, infatti, l’Italia si piazza al primo posto al mondo davanti a Danimarca (48,6%), Francia (48,2%) e Svezia (48), con una percentuale quasi doppia rispetto agli Stati Uniti d'America (28%).
Ma anche considerando quella apparente, il nostro Paese viaggia comunque al quinto posto, ben al di sopra della media europea (40,6%), e sempre alla pari dei paesi scandinavi, i quali però sul lungo periodo mostrano un trend di segno opposto: mentre in Italia le tasse negli ultimi 12 anni sono aumentate del 3,4%, in Francia nello stesso periodo la crescita è stata appena dello 0,4%; in Danimarca, Belgio e Svezia, invece, sono calate rispettivamente del 2,8, dell’1,6 e del 6,3%.
Senza contare che all’aumento della pressione fiscale in Italia è corrisposto anche un calo della ricchezza disponibile dalle famiglie italiane. Il Codacons, confrontando il prezzo di 100 prodotti a fine 2001 con quello attuale, aveva stimato a dicembre 2011 una perdita del potere d’acquisto per il ceto medio del 39,7% rispetto al 2002, anno di ingresso del nostro paese nell’euro, pari a una stangata di circa 10.850 euro. Nello stesso periodo (più precisamente dal 2000 al 2010) Bankitalia ha calcolato che le retribuzioni medie reali nette sono aumentate solo di 29 euro, da 1.410 a 1.439 euro, con un incremento del 2%.