Genny, la sedia a rotelle del futuro rivoluziona anche il turismo
Parte da Milano un servizio che consente ai disabili di visitare la città in modo inedito, comodo e autonomo
All’attivo ha già una rivoluzione: ha inventato Genny, un mezzo elettrico su due ruote in grado di bilanciarsi da solo. Un’evoluzione tecnologica della sedia a rotelle che ha il pregio di lasciare le mani libere a chi la usa per poter compiere tante attività impossibili con una tradizionale carrozzella. Oggi l’imprenditore Paolo Badano lancia la sua nuova sfida: cambiare, naturalmente in meglio, il turismo cittadino per i disabili organizzando tour sulla sua Genny e abbinandola a un Segway per uno o più accompagnatori. Si comincia da Milano, dove è possibile prenotare un giro quotidiano con guida in inglese, russo e altre lingue disponibili su richiesta, si toccano luoghi simbolo come il Castello Sforzesco, piazza Duomo e il teatro alla Scala e sono previste soste presso bagni attrezzati che spesso sono davvero difficili da trovare.
Il capoluogo lombardo è il primo passo, l’apripista: l’idea è esportare presto il modello in altre capitali europee. «Penso a una coppia in vacanza» commenta Badano: «In questo modo possono vivere la città insieme, scoprendola alla stessa maniera, condividendo l’esperienza dalla stessa prospettiva».
Tutto deriva dalla prima rivoluzione di questo tenace imprenditore 44enne che da vent’anni non può più camminare dopo un incidente in moto. «Ma non scriva che sono costretto su una sedia a rotelle. Non mi piace il termine, ci sono Paesi in Africa dove le carrozzelle sono un lusso. Preferisco dire che sono seduto. In fondo è questa la mia condizione fisiologica». Che alla lunga finisce però per aggravare i problemi fisici, specie se per anni ci si trova a spingere le ruote con le mani per spostarsi da un punto all’altro. «È vero, serve a evitare la pigrizia, a stimolare il movimento, ma non fa bene ai rotatori della spalla. E poi porta con sé un limite spaziale: durante il giorno si possono percorrere pochi chilometri perché a un certo punto bisogna fermarsi. Si è assaliti dalla stanchezza. Mentre la carrozzella elettrica sembra uscita dal paleolitico con quel joystick per manovrarla, per non parlare del fatto che può pesare più di 150 chili».
Badano, insomma, non si accontenta: vuole qualcosa di più, di meglio. Ha un’impresa edile e per il suo lavoro e la sua vita quotidiana desidera essere libero, spostarsi come e quanto crede. Cerca all’estero, su internet, ma di alternative non se ne trovano. Finché un giorno s’imbatte nel Segway, che si muove su due ruote assecondando i movimenti del corpo. Per usarlo, però, bisogna stare in piedi. Paolo s’informa, contatta il servizio commerciale italiano, però la sua disabilità per l’azienda è vista come un ostacolo, come una barriera. Non c’è possibilità di dialogo. «Mi hanno gentilmente sbattuto in faccia un portone. E devo ringraziarli per questo: se si fossero limitati a vendermi un esemplare del loro prodotto, magari mi sarei fermato lì». Invece Badano non si ferma, acquista un Segway tramite un espediente, la segreteria della sua società, si chiude in garage e comincia a modificarlo in base all’idea che ha in testa. «Ufficialmente non avevo il know how per farlo, ma a volte la passione ti dà più di un diploma. E poi, in quei mesi, mi sono tornate in mente tutte le nozioni legate al mio amore per le moto. Meccanica, elettronica, che erano sepolte in qualche punto remoto della mia mente».
Così, nel 2009, ecco il primo prototipo di Genny. Non era nata per essere venduta, ma per rispondere a un’esigenza personale. Eppure chiunque la provava ne rimaneva conquistato, gli amici di Paolo lo pregavano di costruirne una anche per loro. «Allora ho capito che potevo sconvolgere la mobilità. Ho cominciato a mandare mail in giro, a scrivere alle aziende, ma all’inizio non ho ottenuto risposta. Il mondo ha l’arroganza di pensare che tutto sia già stato pensato. Io in verità ho reinventato, adattato ciò che qualcuno aveva creato per altri scopi». Alla fine, come un perfetto cerchio che si chiude, è proprio la Segway, la stessa che prima si era dimostrata così diffidente, a spalancare quel portone che aveva chiuso, a dire sì. Nasce così una società a tre che coinvolge anche un’officina che si incarica di costruire le prime Genny.
A SPASSO CON GENNY
Genny 2.0 in Action from GennyMobility on Vimeo.
Tutto sembra andare per il meglio, ma c’è un altro ostacolo con cui si trova a fare i conti Badano. Non ha brevettato la sua idea, lo fa l’officina al suo posto. «Il mio è stato forse un peccato d’ingenuità, ma non volevo bloccare la diffusione, la disponibilità di un prodotto pensato per migliorare la qualità della vita di chi lo guida. Mi ritrovai a dover ricominciare da zero. Di nuovo. Avevo solo il nome, me lo feci bastare. Per il resto ho progettato un mezzo che non ha nemmeno un bullone in comune con il precedente». Imparata la lezione, stavolta Paolo deposita tre brevetti internazionali più uno per il design. Ancora una volta gli ostacoli non lo frenano, sono uno stimolo per ripartire.
La presentazione ufficiale di Genny 2.0 risale ormai a un anno fa: non è un’evoluzione della sedia a rotelle ma un piccolo capolavoro di elettronica e tecnologia, che mette al centro l’ergonomia e la corretta postura. E si può personalizzare. «Un po’ come succede con le carene delle moto. Mi ha aiutato a riannodare i fili con la mia prima passione». Si bilancia da sola, si manovra con i movimenti del busto e, nel frattempo, permette di tenere in mano un ombrello, tenere per mano la persona amata, giocare con un figlio piccolo, portare a spasso il cane. È veloce e si muove con confidenza e agilità anche sui terreni più difficili. «Anche la sua idea di distribuzione è rivoluzionaria. In tutto il mondo la vendita di prodotti legati alla disabilità è associata ai canali dell’ortopedia. Chi compra Genny la trova invece in punti dedicati che continueremo ad aprire in Europa e sul territorio nazionale».
Di più: con il servizio del tour cittadino avviato a Milano porta con sé un’ulteriore iniezione di normalità non solo per chi la guida, ma pure nella percezione di chi se la ritrova davanti. «Anche i ragazzini la vorrebbero provare. Nessun quattordicenne ti domanderebbe di salire su una sedia a rotelle, invece con Genny succede spesso. Quando sono su una carrozzina, la gente vuole sapere cosa mi sono fatto, cosa mi è successo. La associa a un problema. Quando mi vedono su Genny, la prima domanda è un'altra: come fa a stare su due ruote. La disabilità passa in secondo piano. Forse fino a oggi abbiamo sbagliato filosofia: l’integrazione non passa tanto dalle parole, dal dire “diversamente abile” anziché “handicappato”. Può essere aiutata, e parecchio, dalla tecnologia, dal design. In più penso che la mia vicenda dimostri che ci sono tanti aspetti inesplorati, tante sfumature che forse varrebbe la pena di approfondire». Oltre a essere una bella storia di imprenditoria italiana, che in un momento difficile sta creando posti di lavoro. «Se proprio bisogna trovare una morale, ricavare una lezione, è che tutti, nonostante le nostre paure e i nostri limiti, possiamo farcela».
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