Come difendere il patrimonio industriale del Sud
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Economia

Come difendere il patrimonio industriale del Sud

Come investire per non disperdere tecnologia, risorse, competenze, opportunità

Federico Pirro è docente dell'Università di Bari e membro del Centro studi Confindustria Puglia

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Gli industrialisti di tutta l’Italia meridionale dovrebbero unirsi, alleandosi con quelli del Nord. Bisogna difendere infatti l’apparato manifatturiero esistente nel Sud e le sue prospettive di crescita dall’attacco ormai sistematico, martellante, irriducibile di un estremismo ambientalista che, fra l’altro, vorrebbe la dismissione dell’Ilva a Taranto, o almeno della sua area a caldo, impedire la realizzazione del progetto Tempa Rossa sempre nel capoluogo ionico - necessario a trasferire il petrolio da estrarsi in Basilicata dalla Total all’imbarco nello scalo ionico - imporre la chiusura della centrale a carbone dell’Enel a Cerano vicino Brindisi, impedire l’approdo della Tap nel Salento, smantellare i poli chimici di Priolo e Augusta in Sicilia, bloccare o almeno limitare le estrazioni petrolifere in Basilicata - sull’onda anche di qualche trasmissione televisiva di rara faziosità - e fermare le prospezioni nell’Adriatico e nello Ionio alla ricerca di giacimenti di idrocarburi previste dal decreto Sblocca Italia.

La difesa del patrimonio tecnologico
Ma per avere successo in questa battaglia politica e culturale che si preannuncia durissima gli industrialisti del Sud e del Nord dovranno scendere in campo con imprese, sindacati, Università, centri di ricerca, banche, opinion maker, organi di stampa per difendere un patrimonio tecnologico utile all’intero Paese, puntando sempre di più sulla sua ecosostenibilità con nuovi investimenti e best practices gestionali, e dimostrando cosi che la sensibilità per la difesa dell’ambiente non è monopolio dei movimenti ecologisti e che la difesa di ecosistemi e salute si ottiene con la scienza applicata e le tecnologie più avanzate e non regredendo ad un trapassato remoto della storia economica dell’Italia meridionale.

E bisognerà difendere attivamente l’industria nel Sud, ben diversamente cioè dai silenzi di quei meridionalisti sempre pronti sotto il profilo ragionieristico a segnalare sottrazione di risorse al Mezzogiorno, e poi invece stranamente silenziosi e reticenti contro l’assedio dell’estremismo ambientalista ad alcuni capisaldi del manifatturiero nelle regioni meridionali. Disinteresse il loro? Non conoscenza dei problemi? O - ma non vorremmo neppure pensarlo - condivisione di certi orientamenti antindustrialisti ormai radicati?

Certo meridionalismo - che pure s’impanca a difensore del Sud - ormai è lontano anni luce (spiace rilevarlo) dalla grande lezione di Pasquale Saraceno, Rodolfo Morandi e Donato Menichella che sono stati fra i promotori della più grande stagione di industrializzazione conosciuta dal Mezzogiorno nella storia d’Italia, promossa però nell’interesse dell’intero Paese. E molti degli stabilimenti di quella intensa stagione di industrializzazione che si avviò e consolidò fra il 1959 e il 1975, a ben vedere, sono in gran parte al loro posto e costituiscono tuttora punti di forza della capacità competitiva dell’Italia meridionale sui mercati internazionali.

Tutela dell'occupazione
Bisognerà allora difendere questo patrimonio industriale del Sud - nel quale peraltro sono tuttora massicciamente presenti grandi gruppi italiani ed esteri - anche per offrire speranze di occupazione qualificata a tanti giovani che studiano nei Dipartimenti di ingegneria, chimica ed informatica delle Università meridionali, nei corsi di laurea in geologia, fisica ed informatica e agli studenti che frequentano i corsi di formazione postdiploma degli ITS-Istituti tecnici superiori che associano scuole e aziende nella definizione e gestione di percorsi formativi capaci di collegare saldamente formazione di base e pratica operativa nelle imprese che offrono laboratori e docenza dei loro dirigenti, assicurando così ai discenti una formazione spendibile e ricercata sul mercato del lavoro.

In larghe zone dell’Italia meridionale - dove gli apparati industriali hanno una particolare consistenza quantitativa e varietà settoriale - le figure realmente qualificate sono sempre molto ricercate e spesso non sono disponibili nelle quantità e secondo i profili professionali richiesti.

Anche su questo specifico aspetto riguardante il rapporto fra scuola e lavoro, è bene che certo meridionalismo - che lamenta solo la disoccupazione di massa fra i laureati del Sud - si interroghi a fondo per verificare se gli Atenei e l’intero sistema della formazione superiore operante nell’Italia meridionale riescano a sintonizzarsi sulle reali esigenze del mondo imprenditoriale e su quelle delle stesse Istituzioni pubbliche e dei loro bisogni di personale.

Vogliamo insomma interrogarci tutti insieme e finalmente su cosa offrono realmente in termini di formazione concretamente utile al mercato gli Atenei meridionali? O dobbiamo continuare a registrare senza battere ciglio ancora per anni migliaia di laureati in scienze della comunicazione, o in psicologia, o in altre discipline umanistiche, spesso lontane anche nella loro offerta formativa dalle reali, effettive esigenze del mercato del lavoro?

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Federico Pirro